I POEMI DI MARGHERITA SERGARDI

I POEMI DI MARGHERITA SERGARDI

È più di un azzardo introdurre questo libro di Margherita Sergardi Laguna viva (Edizioni del Leone). Basti scorrere l’indice: il sottotitolo “lirica avventura”, il titolo del libro primo – solo la prima parte dell’impresa – “crociera del verosimile”, tre sezioni compiono tre “giri d’orizzonte”, e per ogni giro i laghi italiani, dalla Lombardia al Lazio, e chiavi musicali con pianole, pedali e cuffie. A che ci conduce stavolta la signora senese di antica famiglia, autrice di raccolte di versi, di testi teatrali, di riflessioni aguzze sul teatro? È questo un poema-poemetto, è anche un singolare notevole divertimento, un’opera sinfonica, un concerto a molte voci e strumenti: «…come colui che presiede / allo sfilare dei ritmi / su magica pista / (nera, rossa, blu / o verde che sia», «empito / di quelle arie o bioritmi / di cui riceve l’avvio». È anzitutto una rappresentazione, un vitalissimo spettacolo, esito di una passione indomabile per l’esistente che mai smette di osservare e di interrogarsi, ma prima ancora pretende la grazia della conoscenza e l’esercizio di un’energia vitale che è in sommo grado allegria. L’opera è ordinata e proposta come un viaggio per la penisola, verso i laghi e sono numerosi, con i loro colori e le loro storie e leggende e mitologie, che s’avvivano e rinnovano nel presente delle storie che premono, anche affliggono. Tutto è informato al sopore e alla luce dell’intelligenza, come legame con il mondo, e di un’intelligenza che ignora l’anagrafe e l’inedia e non smette di guardare e di misurare anche dove fantastica e gioca. La signoria del tono campeggia, anche dove pare svagato (vi s’intrecciano le certe armonie della rinascenza in Toscana, le acuzie illuministiche, in più le levità palazzeschiane, le spinte – e queste ammesse – di Lucini, fino a certe negazioni giocate di Caproni). Insomma una notevole messe di culture e di colture divenute nutrimento e officina, in un dialogare e monologare e narrare e inventare che va dal lirico all’epico al melodrammatico passando per la cabaletta, la favola con morale, il piglio della satira, e dal verso libero ora disteso ora saltellante, all’endecasillabo, all’ottonario, alla rima inattesa, alla citazione scherzosamente sbadata, all’avvertenza divertita: «Chi mi vuol bene, mi creda / ma credermi troppo è un errore», all’ammissione inquietante: «Il mondo ambisce alla gioia perenne / e come allora… dipinge il dolore?». Storia portante è il viaggio che nonna e nipote, lei Iunia Ottavia Margherita, lui Niccolò Nicco Nicky, vanno compiendo incontro ai laghi. Viaggio in treno verso acque concluse, verso persi fondali, nelle stagioni che mutano, sostando in palazzi, castelli, giardini, rive, traversando città e paesi, riviere e piazze. Da Mantova a Salò, da Rieti a Perugia i due vanno adoperando vari strumenti: lui servendosi di macchina da presa e proiettori per fermare e sorprendere eventi, lei lasciandosi all’immaginazione inesausta e inscenando per il nipote ventenne storie possibili e impossibili, dando voce e commenti a pianole, orecchi, rulli, pedali, cabine di regia e multipli di sé in maschera, in costume, ma anche in confidenza e in perplessità. E racconta e fa raccontare festini, amori felici e dolorosi, processioni, prodigi, delitti, inganni, vittorie. E descrive paesaggi con la leggerezza e la tenuità della tempera. E muove musiche con cembali viole, violini, chitarre, e guida canti e controcanti, in toni e sovratoni, per cadenze, sussurri, assoli. Il canto – spiega – deve risollevare dalle malinconie, far condividere le altrui gioie, far “vivere istanti di felicità”. Le musiche sono di Mozart e di Bellini, ma anche molto free-jazz e persino break-dance. E il cielo volteggia su canti e parole, nell’immensa galassia, nell’accendersi di stelle e di comete, di lune tonde e falcate. Insomma una vivacissima italica rappresentazione dove non sono poche né secondarie le aparizioni curiose, coinvolgenti. Passano divinità e ninfe, letterati e guerrieri, pittori e architetti, animali che parlano e oggetti che agiscono. Temi remoti e prossimi si susseguono e si confondono, così gli spazi e gli umori. Una fresca giocosità intride e regola il viaggio. Perfino la morte, partecipe dello spettacolo, si rivela come una fiction «gioiosa di belle promesse| quando ci parla di sé». Anche la melanconia si stempera nel sorriso; all’uomo amato morto da tanto, la signora dei tre nomi rivolge un invito: «Ascoltiamo..il long-play della nostra eternità». Interrogata su quel che va componendo, se lirica o dramma, l’autrice risponde: «Occorrono entrambi| a chi voglia innovare la semenza». Alla domanda che cosa è la realtà fa rispondere: «..circuito impalpabile / tra ieri e domani / fuga vitale di estri / e –fusa la Vita alla Morte- / un solo generarsi di correnti». A colloredo Ippolito Nievo le dice: «A pié di pagina leggi il mio sito / e vedrai che la sigla risuona così: / è bello navigare a lumi spenti, / da un luogo all’altro nel buio / e uscire ogni tanto dall’ombra, / godersi le infinite meraviglie, / che fino ad oggi sono ancora in vita..» E in un “colloquio arcano”, dopo aver evocato Tetrarca, il maestro ceramista ulteriormente chiarisce: «Secondo me l’esistenza / più di una volta si spezza / in migliaia di piccole schegge / che sono punte di dolore, / ma se le combatti e le vinci| pian piano si ricompongono / al vertice della Poesia. / Felicità fu sempre creazione / ma occorre dosarne i motivi / e conoscere anche l’Averno, / e altrettanti luoghi ancora..». Il viaggio continua verso il Sud e il lago Averno, si concluderà a Venezia con una gara insieme di parole e di acque nel Canal Grande. L’intero cosmo partecipa all’avventura perché l’interezza è il bene e il segno a cui tende l’impresa: che si salda e si basta nella parola ritemprata dalla volontà di esistere e dalla fiducia nell’esistenza che è un instancabile cercare e cercarsi.

Elio Pecora

Prefazione

 

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