POETRIX BAZAR DI ALFREDO GIULIANI
C’è, nella scrittura di Alfredo Giuliani, sempre “un dialogo ritmico tra le parole”; parole che pensano se stesse e che si attraggono e si respingono. E questa straordinaria virtù, naturalmente, appare come evidenziata nella sua poesia. Per la potenzialità stessa della poesia; perché, come riconosce nella sua consapevolezza critica lo stesso Giuliani, “la poesia sa di poter concentrare in sé, virtualmente, una significanza profonda e anche una possibilità di gioco con i colori e con il corpo delle parole”. La ricerca verbale, nello spazio particolare della poesia, si svolge tanto in senso verticale, nella frammentizzazione analitica della parola, quanto in senso orizzontale, nell’estensione del tratto linguistico. Due sensi di marcia secondo i quali Giuliani ha proceduto, negli anni, contemporaneamente. Tra le ultimissime raccolte Poetrix Bazar (Pironti) è la prova massima e ricapitolativa, in un certo senso la summa dell’opera poetica di Alfredo Giuliani, e non inganni il limitato numero delle poesie lì raccolte, perché si tratta in realtà della miniaturizzazione di un vasto e lungo lavoro condotto dall’autore sul verso. Anche nei testi più recenti, l’autore appare uniformarsi a quel fortissimo senso della forma o dell’efficacia formale della poesia che è uno degli assi portanti della sua formazione estetica o, se si preferisce, della sua poetica. Alfredo Giuliani, tra i più tenaci e rigorosi sperimentatori di circuiti inediti del discorso poetico è tra i più profondi indagatori della scrittura poetica e testimonia nei versi di Poetrix Bazaar un ulteriore passo in avanti, nella definizione puntuale della “sostanza impossibile” attraverso la quale il poeta si determina come soggetto parlante/scrivente. Il godimento della lingua che struttura la lingua stessa, nello specifico del “maneggiamento poetico” delle parole, è uno dei riferimenti dell’esperienza di Giuliani e, forse, la cifra stessa della sua scrittura poetica. Tanto nella direttrice delineata in verticale, secondo l’altalenante successione di consapevolezza-inconsapevolezza, attività-passività, del soggetto parlante/parlato; tanto nella direttrice delineata in orizzontale, sulla scia dilagante della scrittura agente/agita. “Una poesia è vitale”, ha scritto Giuliani, “quando ci spinge oltre i propri inevitabili limiti, quando cioè le cose che hanno ispirato le sue parole ci inducono il senso di altre cose e di altre parole, provocando il nostro intervento; si deve poter profittare di una poesia come di un incontro un po’ fuori dell’ordinario”. Ecco, la stratificazione della poesia; ecco, i fondali profondi della poesia; ecco, la successione dei piani, la linea a spirale. Raramente, c’è una piena corrispondenza tra gli assunti teorici e le prove effettuali come accade per Alfredo Giuliani. I risultati sulla pagina, divaricati nell’architettura dello spartito musicale, sono sicuramente tra i più significativi della poesia di questi anni. Costituiscono un punto di riferimento per i più giovani, una somma di esperienze decisive da cui i più giovani hanno imparato molto. Nei suoi libri di poesia, a dispiegarsi sulle pagine sono partiture musicali (e non solo, per esempio, quelle della prima sezione della raccolta Poetrix Bazaar), secondo una variazione costante che dal tono angosciato slitta a quello divertente-divertito, alternando quadri compositi fino al polittico e singole tavole minime fino alla tabella, e mescolando dramma e farsa, tragico e comico, da “Pensando a Emily” allo scherzo delle sorelle agonine, per arrivare allo sciabordante scioglilingua finale “Caro mercato di paese antico”. Ma, si sa, per Giuliani l’anarchia del nonsenso è stimolo creativo, e ha continuato ad esserlo. “L’insensatezza”, ha scritto, “è un mero contenuto del nostro mondo: qualcuno se ne servirà per manifestare la propria insensibilità o un comodo cinismo; per altri sarà l’unica possibile e sofferta soluzione stilistica. Il non-senso è divenuto un materiale iconico, come le madonne e gli angeli delle antiche Annunciazioni”. In particolare, testi come le stesse Partiture, oltre a testimoniare l’inarrestabile slittamento del linguaggio al grado dell’insensatezza, sono le forme che pure dichiarano quella sorta di rifondazione della poesia di cui Giuliani si fa portavoce. Prima di tutto come “mimesi critica della schizofrenia universale, rispecchiamento e contestazione di uno stato sociale e immaginativo disgregato”. Ma anche, e direi soprattutto, come reinvenzione di un’identità formale della poesia. Nella specie di una ricomposta “scatola sonora”, capace di nuovo di legare in un’orchestrazione le sue armonie e disarmonie; in una musica dodecafonica, frutto di una sapiente regia metrica e tonale. E non si può certo trascurare il patrimonio specificamente metrico della poesia di Alfredo Giuliani: nella ripresa di forme tradizionali (come la canzonetta o il madrigale) dentro la struttura polifonica di un nuovo libretto d’opera che ha messo a frutto l’energia ritmica della tradizione e l’armonia ardita delle avanguardie. Volendo poi parlare dei pezzi forti dell’ultima produzione, sono a rispecchiamento quasi di contrasto Il badante di Eraclito (nel segno della complessità architettonica) e Poesie per il mio cane (nel segno della semplicità più lineare), si può dire che testimoniano oltre alla grande umanità di Giuliani la sua formidabile attrazione per la musica. Il suo orecchio di musicista fa preferire all’autore una musica di suoni nuovi, di ritmi che individuano anche le dissonanze, la possibilità di piegare gli strumenti a suoni imprevisti e a forzare la gamma. Uno dei problemi della musica contemporanea è stato l’esaurimento delle combinazioni. Si potrebbe dire la stessa cosa della poesia.