“FUOCHI DI LISBONA” CON RUFFILLI E PESSOA di Neria De Giovanni

“FUOCHI DI LISBONA” CON RUFFILLI E PESSOA di Neria De Giovanni

Ho iniziato a leggere il libro di Paolo Ruffilli Fuochi di Lisbona (Passigli Editori, 2024) in aereo, ritornando da Roma in Sardegna. Questa lettura è un’esperienza che consiglio anche a chi vola spesso per lavoro o per turismo. Il romanzo infatti si apre proprio con il protagonista, io narrante, che vola verso Lisbona, una città-donna che ci insegnerà ad amare. Ma andiamo con ordine. Il protagonista è scopertamente autobiografico nella motivazione del viaggio: va a Lisbona come relatore ad un convegno su Fernando Pessoa. Paolo Ruffilli raffinato e coltissimo studioso di letteratura e di poesia, per scrivere su Fernando Pessoa sceglie un originale percorso narrativo che subito cattura il lettore già con il cambio di carattere tra tondo e corsivo. Via via che ci si addentra nella lettura capiamo che il tondo è il tempo del racconto con il protagonista relatore al convegno e il corsivo è la voce di Pessoa attraverso le sue lettere, il suo diario. Io stessa, in volo verso Alghero, così come l’ipotetico lettore, sono stata subito travolta dai capitoli iniziali con le riflessioni che il protagonista sviluppa tra le nuvole. Senso di leggerezza, senso di straniamento, in un narrato su due livelli, con due protagonisti che si inseguono in due tempi del racconto: l’io narrante e Pessoa. Ma per con-fondere ancora tra letteratura e vita, il protagonista svolgerà la sua relazione su Pessoa in forma di racconto, ambientato a Venezia e Lisbona, così come Fuochi di Lisbona è insieme romanzo e rilettura critica dei testi di Pessoa. A dire “io” sono alternativamente il protagonista-relatore e il poeta, anzi è proprio il poeta che illumina il vissuto del relatore con le sue lettere, il suo diario, i suoi versi. Siccome “Una città dal corpo femminile era per forza un posto speciale per l’amore” ecco che l’indagare sull’amore tra Pessoa e la sua infanta Ophélia Soares Queiroz anticipa ed accompagna la passione amorosa, l’attrazione travolgente, del protagonista per Vita, l’organizzatrice del meeting. Henrique, l’amico diplomatico che lo attende a Lisbona e lo guida alla scoperta della città, inutilmente lo mette in guardia sul pericolo di questo rapporto, nato in una settimana di convegno, senza alcuna speranza di protrarsi nel tempo visto anche il matrimonio stabile di Vita. La stessa amante con un messaggino lo avverte: “Innamorarsi di una donna portoghese è la cosa più rischiosa che ci sia” (p.108). Il lettore è catturato da questo gioco finissimo di riflessioni letterarie di Pessoa sul suo amore passionale per Ophélia che si intersecano, inseguono, spiegano, accompagnano le pulsioni erotiche verso Vita e lo sviluppo della relazione durante il convegno. Lo splendido titolo di questo romanzo è incastonato in un pomeriggio d’amore tra le lenzuola rosse di passione e il tramonto sul Tago e ben rappresenta la scrittura di Ruffilli, simbolica, evocativa, a tratti onirica e surrealistica: “Dalla finestra, il Tago era un magma incandescente a ondate si espandeva nella stanza. Batteva il suo duro suono dentro la fusione del metallo. Pulsava e ribolliva nel tramonto. I fuochi di Lisbona. Le tende, le pareti, i cuscini, le lenzuola, i corpi di noi due amanti…” (pag.134). Pessoa ha 12 anni in più di Ophélia, la stessa differenza di età tra l’io narrante e Vita, la cui storia amorosa è intrecciata sorprendentemente alle riflessioni del poeta sulla propria vicenda, oggetto della relazione-racconto al Convegno a lui dedicato. Le due storie d’amore sono talmente simili come sviluppo e percorso di tensione erotica e attese letterarie, da ipotizzare addirittura un fenomeno di reincarnazione. “- Tra Vita e me – rivolto a Henrique dopo il silenzio – ci sono dodici anni. Lo stesso che tra Fernando e Ophélia. Prova a pensarci. Io vengo qui a Lisbona per Pessoa e incontro Vita” (…) “Che Ophélia e che Fernando si stessero incontrando a più di cinquant’anni? Era rimasto tutto in sospeso tra loro…” “Loro in voi due? – con l’espressione più sorpresa.” “Me lo chiedo perché Pessoa se lo aspettava. L’ha scritto prima di morire. Guardandosi allo specchio, aveva visto sparire la sua immagine e comparirne un’altra, di uno più giovane e più magro, con la barba. Se stesso in qualcun altro, dopo di lui?” (..) “Ma non è un ambito dove si possa procedere con la ragione o col buon senso. Non ti scordare che medium sensitivo era Pessoa. E poi, l’occulto, gli interessava per ciò che lui chiamava suprema conoscenza” (pp 145-146). La descrizione dell’immagine allo specchio sembra quasi quella del volto barbuto di Paolo Ruffilli… L’amico Henrique cerca di riportare tutto a una interpretazione più normale: “È più facile che sia suggestione. Se anche non sei lui incarnato – scoppiando a ridere – ti sei immedesimato in lui di certo” (p.147). Un vero coup de theatre finale, che non svelerò, avviene prima della ripartenza del protagonista alla conclusione del convegno. Ancora il viaggio, ancora il volo e la confessione dell’intromissione della letteratura nella vita, con-fusione tra io-narrante e io-narratore. “Coincidevo in tutto con Pessoa. Ero magari la sua copia opaca… “. Nel tempo del volo il protagonista scivola nel sonno “dietro ai versi di Pessoa”, i sogni trasformano il tempo reale e tra le pagine del libro, “scivolato giù, via dalle gambe”, ritrova i versi dedicati “a Vita il primo giorno del convegno. Li avevo scritti a penna sul retro dell’orario del mio volo”. Dopo vent’anni il protagonista, io narrante e io narratore, può raccontare questo vissuto, borghesianamente “sognare di sognarlo” e finalmente essere libero. Come Vita, la splendida figura femminile che proprio perché libera non apparteneva a nessuno ma aveva scelto lei “la vita insieme a lui.” E Ophélia? Non sarà facile staccarsi da questo Fuochi di Lisbona di Paolo Ruffilli, profondo, ricco di suggestioni letterarie, radicato nel nostro intimo culturale, frutto generoso di una scrittura colta ma fatta carne, perfetta e incandescente fusione tra eros e intelletto.

Neria De Giovanni

Portaleletterario.net

2 commenti su ““FUOCHI DI LISBONA” CON RUFFILLI E PESSOA di Neria De Giovanni”

  1. Giuliano Gemo
    Sarà per la conoscenza che ho delle sue poesie, ma mi pare che l’inclinazione poetica dell’autore risalti in vari aspetti del libro. In particolare, ad esempio, nelle meravigliose scene di descrizione, volta a volta, della città, del fiume, dell’oceano prospiciente, nelle varie ore del giorno e della notte. In queste pagine, che si alternano con quelle dedicate al rapporto con Vita e a quelle di riflessione filosofica, le risorse inesauribili di un lessico rigoglioso si dispiegano nel ritrarre il continuo trasmutarsi delle forme e dei colori: chiamando in causa, con evocazione sinestesica, accanto alla vista anche l’udito, l’odorato, persino il tatto, nella concretezza, appunto, quasi palpabile della lingua con cui sono resi quei colori e quelle forme. L’effetto sul lettore è di sentirsi progressivamente avvolto e poi, mano a mano, sempre più immerso, sprofondato, nella variegata molteplicità del paesaggio descritto. Ma mi sembra che la vocazione poetica dell’autore si manifesti, in realtà, ininterrottamente nel corso del libro sotto un altro aspetto: quello della costante attenzione alla resa sonora e musicale. A tale resa tende la scelta di ogni singola parola, e poi la mirata collocazione di ciascuna parola all’interno della frase, e poi l’accostamento delle frasi stesse con la varia modulazione della loro metrica: creando così uno studiato gioco di richiami, rime, assonanze, pause, cadenze, a comporre l’articolata sinfonia con cui è costruita ogni pagina. Un modo di procedere che, sotto questo aspetto, offre alla fine l’impressione più del fluire d’un poema che del dipanarsi di una narrazione.
    Tanto l’ho avvertito forte, questo andamento “poetico-musicale”, che a volte ho avuto l’impressione che esso s’insinuasse, quasi per spinta d’inerzia, negli stessi dialoghi tra i personaggi, al punto da farmeli apparire, nel tono, più poetici e cantati (quasi da moderno libretto d’opera) che realistici. Se dall’aspetto sonoro si passa invece a quello strettamente contenutistico (a volerli proprio distinguere l’uno dall’altro, questi due aspetti, laddove invece sono in tutto il testo inscindibilmente fusi), anche qui l’impressione è più di un poema filosofico che di un romanzo, sia nei monologhi interiori del protagonista e sia in quei dialoghi “d’indagine” a due voci tra lui e Vita o tra lui e Henrique. Questa attitudine al “pensiero poetante” mi ha richiamato istintivamente alla memoria Leopardi, soprattutto nelle frequenti pagine di meditazione intorno agli enigmi e interrogativi fondamentali sull’esistenza umana, e sull’essenza della cosiddetta “realtà”, e sul senso del tutto. Anche perché si tratta di meditazioni costituite per lo più da domande, da dubbi, da meri tentativi di risposta, presto contraddetti da opzioni di risposta di segno contrario; insomma da riflessioni condotte nella condizione di disorientamento, di vulnerabilità, di disarmata sofferenza, in cui si trova a dibattersi l’io narrante. Riguardo a tali dilemmi fondamentali, gli enigmi e i dubbi che agitano il protagonista mi sembrano schiarirsi quando egli crede di riconoscere nello stato eccezionale, extra-ordinario, che è l’innamoramento (altresì detto, nel libro, “l’amore”) la chiave per intuire, o, meglio, per avvicinarsi ad intuire il senso del tutto: delle nostre singole esistenze come di ciò che ci circonda e che ci accade; degli esseri umani con i loro corpi e menti e impulsi e sentimenti e parole come dell’universo intero delle “cose”. Questa intuizione si fa più forte via via che si procede nel corso del libro. Ma per cedere il passo poi nella conclusione (gli ultimi due capitoli) a una visione ancora più ampia e profonda, che mi verrebbe da definire, di nuovo, leopardiana – penso alla condivisione e alla pena per il dolore e lo smarrimento della povera gente in fuga dalla lava del Vesuvio ne La ginestra e alla “infinita vanità del tutto” in A se stesso –. Del resto, i temi e gli interrogativi sui quali si arrovella e discute l’io narrante (qui alla fine come lungo l’intero libro) sono talmente basilari, universali e antichi che in questa sede non potrei neppure sfiorarli. Posso solo pensare, di riflesso, a come in questi ultimi anni qualcuno stia cercando di unificare la secolare divaricazione delle due strade finora percorse per indagare tutto l’esistente (compresi noi stessi), vale a dire da un lato la via, razionale, delle scienze, e dall’altro quella del “mistico” (come lo chiama Wittgenstein) ovvero dell’ “occultismo” e della “magia” (pag. 59 del romanzo). E a come quel qualcuno stia tentando tale unificazione partendo da basi rigorosamente scientifiche eppure valicando i limiti che la scienza stessa ha certificato a sé medesima come “invalicabili”; con l’idea che solo unificando quelle due strade sia possibile affrontare il triplice mistero della “coscienza”, della “realtà” (o “mondo”) e di ciò che la tradizione filosofico-religiosa chiama “Dio”.
    giuliogemo@gmail.com

  2. Francesca Luzzio
    Il romanzo di Paolo Ruffilli, ”Fuochi di Lisbona” è un opera in cui la psicanalisi gioca un ruolo molto importante, infatti la narrazione procede attraverso un costante parallelismo tra la storia d’amore di Pessoa ed Ophélia e quella del protagonista con Vita, insomma l’es e l’io, l’inconscio ed il conscio s’intrecciano in un costante parallelismo. Lisbona, città portoghese dove nacque Pessoa e dove il narratore si reca perché protagonista di un convegno, è la matrice ambientale che segna l’incipit della narrazione. Il contesto spaziale degli eventi ha quindi un ruolo fondamentale, diventa motore del continuo parallelismo che il narratore attua tra la sua storia con Vita e quella di Pessoa con Ophélia. Il convegno ha una durata limitata e il protagonista dovrà ripartire, ma la partenza non implica la fine dell’amore, della passione, non annullerà quel sentirsi una reincarnazione di Pessoa: “A tratti, ho come l’impressione di entrare nella vita che è di un altro o che s’infili un altro nella mia. Pessoa è quest’altro. Ma non perché mi parli… o mi figuri in lui. Non so come spiegarmi. Io e lui come due parti coincidenti: stessi pensieri e stesse idee, stesse paure ed emozioni, stesse manie…” (pag.147). Insomma il suo sentire coincideva con quello del poeta portoghese, magari egli era solo “la sua copia opaca”. Da qui il suo vivere nell’indecisione, ”nell’incapacità di compiere gli atti decisivi, nati da volontà cosciente, ma solo risposte ”dettate dall’istinto o dalla forza del momento (pag.166). Insomma il narratore si sente incompetente per tutto ciò che è la vita e come i protagonisti del romanzi “Una vita”, “Senilità”, “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, soffre d’inettitudine, ossia è un uomo inadatto alla vita, abulico, insoddisfatto, ma irresoluto. È uno sconfitto che è vittima di se stesso, della sua psicologia tentennante, delle sue debolezze che producono uno scarto tra intenzioni ed azioni reali,“perché una vita che è fallita merita di essere vissuta sino in fondo.” Insomma il protagonista, in posizione omodiegetica e con uno stile chiaro e pertinente, racconta di essere un vinto dalla vita, incapace di rapportarsi con l’amore che vive per Vita, la sua donna, che pur potrebbe essere vitalità, vita…, ma a differenza di tanti altri e con I’amara ironia che il nome attribuito alla ragazza rivela, ne è pienamente consapevole.
    f.luzzio@libero.it

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