A FERRARA È NATO IL CENTRO STUDI “ROBERTO PAZZI”

A FERRARA È NATO IL CENTRO STUDI “ROBERTO PAZZI”

Per non disperdere il lascito immateriale di Roberto Pazzi (18 agosto 1946 – 2 dicembre 2023), è stato concepito il Centro Studi a lui intitolato, proprio nella sua abitazione in Contrada della Rosa, da Stefano Baldrati, Matteo Bianchi e Alessandro Turco, con il sostegno premuroso e costante di Alessandro Carlini, Giuliano Malaguti, Pasquale Matrone e Gerardo Passannante, sette intellettuali che a loro modo hanno vissuto gli scorci e gli squarci ferraresi insieme a lui. E alle sue opere. Roberto Pazzi, poeta, scrittore e giornalista, originario di Bocca di Magra, ma innamorato della “città volante”, ha lasciato nove raccolte in versi e ventiquattro romanzi, di cui quello postumo, il testamentario La doppia vista, edito da La nave di Teseo pochi giorni dopo la sua scomparsa. Oltre alla sua produzione edita e alla sua biblioteca disseminata lungo l’intero perimetro interno dell’appartamento, il Centro Studi ha cominciato a ordinare e catalogare manoscritti, dattiloscritti, nonché il corposo epistolario con i fautori dell’immaginario novecentesco, tra i quali Luzi, Quasimodo, Siciliano, Caproni, Giudici, Jabès e Montale, che in visita a Ferrara, il 12 maggio del 1970, su invito dell’amico e docente Franco Giovanelli, a Casa Ariosto in Contrada del Mirasole, rimase stupito dai cognomi dei tre giovani che avevano chiesto la parola a seguito della sua lectio: «non rimetterò più piede in una città popolata da Pazzi, Sgarbi e Felloni», commentò ironico il futuro Nobel. La fotografia che è stata scelta e stilizzata dai soci del centro studi per continuare a onorarlo, deriva da un’occasione ordinaria quanto inaspettata, da un pomeriggio amicale al sole, nella primavera del 2017, proprio nel giardino di campagna di Malaguti, a Sant’Agostino. Per chi l’aveva conosciuto unicamente attraverso le pagine di QN, oppure a un leggio sotto i riflettori, nella sua mise più istrionica e pasionaria, è stato emblematico immortalare quel suo sé dimesso con una farfalla appoggiatasi sulla sua spalla, una vanessa vulcano dai colori terragni che sembrava a suo agio nella pace del momento. E continuava imperterrita a tornargli addosso. A seguito di quell’incontro lieve, ma simbolico, Pazzi si mise a riflettere sul riconoscimento della poesia, sulla sua incidenza odierna, traendone alcune riflessioni e dei versi inediti che Baldrati ha voluto incidere sulla sua lapide:

Per questo aspetto la pratica della poesia risulta più felice di quella della narrativa, perché con la poesia si mollano gli ormeggi e si guadagna “le grand large”, dove si naviga in mari non esplorati dalla lingua comune. Il prezzo è perdere i lettori, che non capiscono e si stancano subito di seguirti. Ma di quanti lettori ha bisogno un poeta? Resta paradigmatica la Dickinson, che non ne cercava alcuno. Lasciando nel suo baule duemila poesie dopo la sua morte e solo sei testi pubblicati in vita. Se è vero che tutti coloro che scrivono annaspano alla ricerca di editore e lettore, di massima i poeti invece non cercano mercato. Chi scrive narrativa vuol invece sempre essere mangiato, usato, letto. Il fascino della poesia è che assolda quasi soltanto chi non si cura proprio di essere letto. Fra i poeti si possono anche ai nostri giorni trovare quelli che amano fare i conti col silenzio e rivolgersi se mai al tempo che verrà dopo la loro morte. Non sono tanti, ma ci sono, e sono comunque sempre assai più numerosi dei narratori. Ogni tanto visita anche me quello straniamento, quella caduta delle cure, quell’innalzamento dello sguardo da terra, quando scrivo poesie come questa:
GLI OROLOGI
Ho due orologi in casa,
uno suona le ore del fare,
l’altro tace quelle dell’anima,
se questa a volte vince
del silenzio la mia casa tace l’ansia.
Allora lo squarcio d’azzurro
fra le mie finestre mi libera,
torno da dove vengo,
anche il sole fra le nuvole
non ha fretta di apparire,
sa che il vento le spazzerà via.
Se guardo basso è perché
sono prestato a un corpo
che per amore s’attarda fra le cose.
Ma tu, anima mia,
non perdere il palpito di farfalla,
il battito di Dio,
che occhieggia un attimo
e poi tremando se ne va.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto