NUOVA RACCOLTA DI ROBERTO PACIFICO

NUOVA RACCOLTA DI ROBERTO PACIFICO

Sesta raccolta di versi di Roberto Pacifico, Diario di una discesa a valle (Editrice Totem), è una sorta di canzoniere che nasce dalla selezione di poesie scritte fra il 2014 e il 2021, con il recupero di quattro brevi composizioni derivanti dalle prime due raccolte uscite nel 1984 e nel 1991 (Notte gelata ad Ascra e La Metafisica del Parnaso). Rispetto a Orfèide metropolitana (Milano, 2014) si accentua l’aspetto realistico, anti-arcadico, sovente parodico dei testi, in un mix che fa di questa raccolta una cronaca autobiografica e un manuale di composizione, vista la pluralità di stili e forme. La “discesa a valle” allude all’incipit della prima poesia (“Era forse destino che dovessimo/cominciare a discender verso valle,/meta estrema ed ignota, necessaria/di un cammino che mai avremmo scelto”), correlativo simbolico sia del naturale processo declino/morte sia di un intermittente abbassamento di tono e stile: dall’alto al basso (metaforicamente: a valle), cioè verso il colloquiale, il narrativo, senza escludere, quando necessario, la rimozione dei classici filtri bon-ton borghesi, ancora imperanti nella poesia italiana contemporanea. “Viene da pensare che Roberto Pacifico abbia oltrepassato – riarmonizzandolo, e non certo ignorandolo – il problema del peso e del ruolo dell’esperienza autobiografica all’interno della propria scrittura poetica” come nota nella prefazione Gianfranco Cotronei. In questa raccolta si toccano tutti (o quasi) i registri stilistici della poesia, da quelli tradizionali della forma chiusa e rimata (l’epicedio “La terrazza di Attilio” è scritto nel metro di Pianto antico, ma prosegue in versi liberi) alla tensione e torsione delle strutture sintattiche accentuata nelle ultime poesie. Dall’omaggio letterario, dove si può gustare una nuova Kunstsprache ricercata e aulica alla Sandro Sinigaglia, alla poesia religiosa (“È raro che io ritorni nel silenzio”).  Il diario di una crisi anche vocazionale e lirica (“I versi migliori sono alle spalle”, “Sapevo che c’era la poesia”) non esclude idealizzazioni estetiche come nella quartina (una delle 8 di “cogitazioni tetrastiche”) “Teogonia lirica”: “Splendide creature usciron dall’acque, / giovani e antiche, piene d’energia, / bellissime e sapienti; così nacque / dal mare della vita la poesia”.  Quartina neo-classica o metafisica, quasi beffarda se rileggiamo qualche pagina prima “La via che si svuota dopo il mercato”: “La via che si svuota dopo il mercato / – non rimangon che poche bancarelle / ai lati della strada prima affollata / e tra poco smonteranno anche quelle – / i marciapiedi colmi di cassette / di frutta vuote, la via prima piena / di colori grida volti e profumi / non ti ricorda forse un capolinea / dell’anima che nulla ha più da vendere / e mostrare?”  La via piena di cassette dopo il mercato è anche il teatro di una condizione spirituale desolata che potremmo commentare con la poesia che apre Pianissimo di Camillo Sbarbaro (“Taci, anima stanca di godere”): “Nel deserto / io guardo con occhi asciutti me stesso”.

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