‘CHI DICE E CHI TACE’ DI CHIARA VALERIO
A leggere Chi dice e chi tace (Sellerio Editore), la prima sorpresa è il mimetismo stilistico di Chiara Valerio, la sua talentuosa capacità di modificare lingua, tono, costruzione per adeguarsi alla storia che racconta. Rispetto all’intonazione indubbiamente più alta del suo precedente romanzo, Così per sempre, in cui d’altra parte si affrontavano temi impegnativi come eternità ed immortalità, amore e odio, passione e vendetta, la scelta si orienta qui verso il puro resoconto trascritto quasi in forma orale, per ricostruire la storia apparentemente più “normale” e quotidiana della sua nuova protagonista, Vittoria, ritrovata morta nella vasca da bagno.
Bisogna però aggiungere che c’è una situazione comune a reggere le due differenti modalità espressive, quella “alta” del precedente romanzo e quella “bassa” di questo, ed è una pratica sofisticata (in senso positivo, di raffinata sapienza narrativa) a guidare la soluzione, intelligente e coerente in ciascuna delle due prove. Così come comune si può ben dire l’impulso (lo scatto interiore) che produce la formula del titolo nei due romanzi, all’insegna del colloquiale e corrente (ma tutt’altro che corrivo) nella semplicità del dire consueto, del quasi luogo comune: “Così per sempre”, prima, e adesso “Chi dice e chi tace”.
Questo scorrere naturale del racconto in prima persona lungo le pagine di Chi dice e chi tace, mescolando cronaca e discorso diretto, testimonianze e supposizioni, realizza un piacevolissimo flusso dei cinque sensi e di coscienza, delicato e ironicamente gentile, in forma decisamente originale. A motivare la procedura c’è, a ben guardare, anche un’ottica autobiografica (pur in assenza di autobiografismo in senso stretto), perché l’autrice non può sottrarsi all’uso della prima persona parlando di persone e di fatti che in ogni caso la coinvolgono nella realtà di rapporti e di vicende che hanno il loro campo nel luogo in cui è nata, Scauri, l’ultimo paese del Lazio sul Tirreno, uno di quei centri turistici elastici “con seimila residenti nei mesi invernali e centomila nei mesi estivi”.
Sulla scia di quella morte improbabile ma plausibile, ecco snocciolarsi quella che si configura sotto sotto come un’implicita “indagine”, volta a scoprire chissà quali risvolti della vicenda, ma nel sostanziale disinteresse per l’eventuale possibile scoperta. Perché l’apparente involontario accertamento si compie in modo saporito tra stranezze e curiosità, pettegolezzi e invenzioni, chiacchiere e reticenze, che coinvolgono l’intero paese, dietro a quella donna singolare e misteriosa, arrivata a Scauri non si sa bene da dove e perché, e lì rimasta a muoversi per vent’anni come partecipe e insieme corpo estraneo.
Per uno che come me è poco interessato alle trame in se stesse se non si innervano in un tessuto narrativo capace di mobile creatività, Chi dice e chi tace con il suo tessuto dalle valenze fortemente poetiche è stato un vero divertimento di stile, letterariamente parlando, perfino come forma nuova reinventata di romanzo antropologico di vita quotidiana della provincia italiana, ricchissimo di essenze e spessori oltre l’evidenza di figure e circostanze.