LA VOCAZIONE DELLA POESIA

LA VOCAZIONE DELLA POESIA

Più luce, nonostante il buio dell’ignoto. Più speranza, nonostante le ferite. Più vita, o meglio densità di esperienze, accanto al permanente assedio del non-senso. Il nuovo libro di poesie di Nadia Scappini, Preghiere imperfette (Moretti&Vitali, con una lettera di Loredana De Vita, Postfazione di Paolo Lagazzi) arriva dopo un percorso ventennale, segnando una maturazione personale e spirituale che si riflette in quella espressiva, in un “riverbero” fatto parola che, accogliendo fragilità e contrasti, non acceca – “il giallo degli aquiloni sovrasta il nero” -, ma esprime un desiderio di assoluto in cui la rotta è dettata dalla ricerca di pienezza e luce e di un “altrove” che ha il volto di Dio, della natura, dell’amore umano. Dalle sue liriche traspare il “noi” e l’apertura al mondo – nella poesia di apertura scrive che, nel pieno della pandemia, è il momento di “tessere tele” – e quello delle Preghiere imperfette, raccolta poetica presentata il 13 dicembre alla libreria Àncora in dialogo con Giuseppe Calliari, è un salto di qualità, contenente testi pubblicati in luglio nel “Sesto repertorio di poesia italiana contemporanea (Arcipelago Itaca, 2022) in quanto selezionati tra i vincitori della sezione “sillogi brevi”. La raccolta è divisa in tre sezioni, “Del nostro andare”, “Del tempo” e “L’oro dei giorni”, lode non scontata dell’amore tra coniugi anziani, celebrato nelle nozze d’oro lo scorso anno, ma soprattutto nel ritrovarsi ancora insieme, imparando il “Perdonarsi”, e l’autrice, ha osservato Calliari, compie un cammino di conquiste progressive in cui è presente la dimensione religiosa del sacro, percepita nel rapporto con la bellezza della natura, fonte di stupori e meraviglie. La nostalgia di casa che Nadia bambina provò contemplando il cielo stellato estivo, ospite degli zii in provincia di Rovigo, era infatti accompagnata dalla percezione di un sentire smisurato, mistero palpabile ma indecifrabile, che poi si è fatto “leggere” dalla poeta. Un “di più” che, per chi come Scappini avverte la necessità di mettere per iscritto ciò che affiora dalle crepe o è colto negli inciampi rivelatori, è poi la molla dello scrivere in versi e in prosa – due i brani presenti nella raccolta -, poiché ciò che esorbita dall’ordine delle cose porta una novità che chiede di essere condivisa. Così facendo ci si espone, ma nel dirsi agli altri di Scappini c’è l’ospitare uno scoprire generativo che trascende, apre il pozzo dell’interiorità al movimento dell’arco, all’arrampicarsi sulla scala. L’immagine da lei scelta per la copertina, ha detto l’autrice, è la sintesi della sua poetica e della sua visione della vita: in bilico, sospesi tra alto e basso, soste e ripartenze, gioie e dolori, ma con una meta luminosa a cui tendere. Per Calliari la parola poetica di Scappini è nella sua creatività canto e incanto, un essere appunto “in”: in crescendo, in evoluzione, tra le cose e i momenti quotidiani e la preghiera a Dio, non rinunciando mai a “curvare le parole/verso l’altrove”. Il titolo stesso della raccolta indica la vocazione della poesia, che è invocazione ed espressione di ricerca, e le diverse forme di relazione che si trovano nelle tre parti – con l’abisso oscuro e la fatica della condizione esistenziale, con la natura, con l’altro, sperimentando amore e dolore: la prima sezione è dedicata alla cognata Maria Teresa -, compongono un abito fatto di radici, preghiera e profezia. Se poetare è il nervo sottopelle che, “toccato” viene allo scoperto e la scopre, per l’autrice la poesia è testimonianza di verità, perciò va detta. Nell’introspezione condivisa che allaccia un contatto con il “tu” e permette al “tu” di ritrovarsi nei versi, allora la poesia può anche diventare ciò che riveste la vulnerabilità, instaurando una comunione che accompagna l’ascesa della poeta verso la luce, ricordando le parole di Teilhard de Chardin: tutto ciò che sale, converge.

Patrizia Niccolini

L’Adige

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