IL GUSTO DELL’HAIKU NELLA POESIA MODERNA

IL GUSTO DELL’HAIKU NELLA POESIA MODERNA

L’haiku è un componimento poetico di tre versi, composti rispettivamente da cinque, sette e cinque sillabe o, più esattamente, more. Nato in Giappone nel XVII secolo, deriva dal tanka (cfr. Elena Dal Pra, “Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Bashō all’Ottocento”, Mondadori), genere poetico formato da cinque versi con un numero di more in sequenza di cinque, sette, cinque, sette, sette. Haiku e tanka sono forme di poesia breve, che esprimono la predilezione della cultura giapponese per ciò che è minuto, come leggiamo nelle “Note del guanciale” di Sei Shōnagon, perché «tutte le cose piccole sono belle». La poesia breve ha avuto cultori illustri anche nella cultura europea (per esempio Giuseppe Ungaretti, Sandro Penna, Tomas Tranströmer e molti altri). La poesia breve, con la rapidità el’esattezza che la contraddistingue, rappresenta una sfida sia per l’autore che per il lettore. Il testo poetico, messo a dura prova dalle forche caudine della regola inderogabile, ne esce vigoroso e misteriosamente illuminante, come se la concatenazione di tre o di sette versi fosse capace di far vivere la realtà stessa in modo indipendente dallo sguardo effimero del poeta e dal suo stato emozionale contingente. Così le immagini fissate da haiku e tanka in un tessuto verbale scarno e “indecifrabile”, risuonano in chi legge come universali che il talento segreto del poeta ha saputo riconoscere ed esprimere, sollevando il velo uniformante che nasconde la magnifica e misteriosa singolarità di ogni cosa del mondo e di ogni autentico sentimento. Nella Prefazione al volume di poesie di Tomas Tranströmer, “Il grande mistero”, Maria Cristina Lombardi illustra il senso che ha la creazione poetica per l’autore svedese, premio Nobel 2011, con gli ultimi versi di Morgonfåglar, Uccelli mattutini, dalla raccolta Klanger och spår, “Echi e tracce”, 1966. La poesia trattiene l’energia poetica dell’autore, diventando un soggetto autonomo, a se stante, con una vita propria: «Fantastico sentire come la mia poesia cresce / Mentre io mi ritiro. / Cresce, prende il mio posto. / Mi toglie di mezzo. / Mi caccia via. / La poesia è pronta». Il poeta sembra alludere all’opera della creazione, dopo la quale Dio si ritira per lasciare spazio alla natura, ai viventi, all’uomo. Il volume di haiku di Lilia Slomp FerrariHaiku” (Biblioteca dei Leoni), suddiviso in tre sezioni (Amore, Natura, Sensazioni), suscita nel lettore attento e curioso una fascinazione sognante e lo mantiene in uno stato di stuporosa chiaroveggenza, in virtù di versi che fanno vedere e sentire cose mai viste e mai sentite, nonostante fossero presenti, visibili e sensibili nella vita di ogni giorno. Vita e morte, inizio e fine si danno la mano, senza tormentarsi a vicenda (Amore: “Non puoi sapere / il cammino del buio / oltre la luce”; “Scandisce il cuore / il passo della vita / ride la crepa”; “Quando andrò via / esigo un ritornello / da fischiettare”). Lo sguardo del poeta alle cose del mondo non può essere una dissezione analitica di oggetti inanimati, ma solo l’intuizione sintetica e simpatetica di anime nascoste, di azioni e sentimenti invisibili ai più (Natura: “Nelle galassie /duello di comete / muore la luce”; “Intirizzito / il pupazzo di neve / sogna l’estate”; “Che mi consola / è la solitudine / del girasole”; “L’impudicizia / è quella dell’insetto / al primo boccio”; “Ricama il cielo / l’anima della stella / sepolta al buio”). La sensibilità del poeta ̶ come il rabdomante che con la bacchetta forcuta percepisce la presenza nel terreno di acqua, metalli, oggetti preziosi ̶ discopre misteri e segreti non solo della natura, ma anche del cuore che sappia ascoltare voci di solito sommerse nel rumore del mondo, nel chiacchiericcio in cui sprofonda la voluttà della distrazione volontaria. (Sensazioni: “Nuvole rosa / credevo il tramonto / era l’aurora”; “Lacrima scende / in lento trafiggere / fughe di tempo”; “Arranca il vecchio / raccoglie il suo passato / a ogni passo”). Non sogna solo l’uomo, anche gli animali e le piante ne danno segno nell’inquietudine che li anima (“Non sono io / il lamento del bosco / sotto la neve”; “Scocca il cuore / segreto di messaggi / inascoltati”; “Bruco nel verde /scalata solitaria / folle ricerca”). Nella mediocrità del sentire comune la vita e la morte sono opposti irriducibili, così come l’amore e la desolata solitudine, il senso e il non senso, lo sguardo affettuoso e il sogguardare sospettoso. Il poeta invece contesta una volontà di sapere che divide e suddivide sia gli oggetti che il soggetto, riducendoli a brandelli inanimati. Il poeta e il filosofo che è in lui possono tuttavia riscoprire l’unità profonda, la co-appartenenza di quei lacerti di realtà che le scienze (fisica, chimica e biologia) pretendono di far passare per le componenti essenziali della realtà (“Siamo già morti / e ancora non sappiamo / d’essere vivi”; “È orazione / il pianto della gronda / al nido vuoto”; “Dentro di noi / la chiave dei segreti / da tramandare”; “Pietà nessuna / per chi non sa vedere / l’ombra di un fiore”). L’ultimo haiku della raccolta di Lilia Slomp Ferrari racchiude il filo conduttore della sua proposta poetica (“Una carezza / data distrattamente / sanguina il cuore”): la distrazione della mente e del cuore impedisce di vedere e sentire il senso delle cose e la vertiginosa parentela che intreccia le cose del mondo con gli esseri umani. La vita non è l’arido deserto che appare agli occhi dello scettico materialista, è invece una prova di amore e sublime sapere. Il poeta mostra che «la vita debb’esser viva, cioè vera vita; o la morte la supera incomparabilmente di pregio», come avverte il Metafisico nel leopardiano “Dialogo di un fisico e di un metafisico”.

Claudio Tugnoli

Literary.it

 

 

 

 

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