LE POESIE DI DAGERMAN
Stig Dagerman (1923-1954), svedese, è uno di quei talenti precoci che compiono tutto quello che li riguarda creativamente parlando entro i trent’anni, indipendentemente dal fatto che si sia deliberatamente tolto la vita al compimento dei 31 anni. Del resto aveva tentato di farlo qualche altra volta già prima e, a spiegarne almeno in parte la prospettiva autodistruttiva, c’è la sua vicenda biografica, anche se l’autore più tardi ha descritto l’infanzia come l’epoca forse più felice della sua vita. Ma, in seguito all’abbandono da parte della madre nei primissimi mesi dopo la nascita e per la difficoltà del padre minatore di garantire le condizioni essenziali alla crescita, il piccolo Stig fu ospitato e cresciuto dai nonni paterni. Nei nonni, similmente a quanto accadde allo scrittore austriaco Thomas Bernhard (con il quale c’è più qualche altra somiglianza sul piano della scrittura), trovò delle figure vivaci, rassicuranti ed intellettualmente stimolanti, dunque le prime condizioni per il futuro percorso intellettuale. L’uccisione del nonno nel 1940 da parte di uno squilibrato e, poco tempo dopo, la perdita della nonna colpita da una emorragia cerebrale, portarono Dagerman a commettere il primo di una serie di tentati suicidi. Trasferito a Stoccolma dal padre, a soli tredici anni poté avvicinarsi all’anarchismo e al sindacalismo e iniziò precocemente l’attività di scrittore in seno all’Unione Sindacale Giovanile, per poi diventare redattore del giornale Storm (La tempesta), per passare più avanti ad occuparsi di fatti di cronaca, nel combattivo giornale anarcosindacalista Arbetaren (L’operaio). La sua produzione ebbe un’accelerazione legata a un’energia esplosiva incontenibile: drammi teatrali, racconti, saggi e reportage, scritti satirici, poesie, romanzi. Divenne un originale esponente della letteratura quarantista, capitanata da Karl Vennberg e Erik Lindegren, e resta a tutt’oggi una figura mitica della letteratura svedese. Iperborea, che ha pubblicato romanzi e racconti, manda in libreria di Dagerman, Breve è la vita di tutto quel che arde (traduzione e cura di Fulvio Ferrari), poesie esistenziali, vivide e tormentate nei loro affondi dentro i labirinti della psiche, e poesie satiriche, a commento potente della cronaca politica e sociale del suo tempo. Sono versi sempre intensi, scritti in uno stile che attraverso l’ossessione, l’analisi impietosa, la satira amara, mira a mettere in scacco tutte le maschere di comodo dell’esistenza svelandone la realtà di tragedia e di farsa.