LILIA SLOMP E L’HAIKU
William Butler Yeats – citato da Lilia Slomp Ferrari in esergo a Pass dopo pass, l’opera in sonetti del 2020 (Biblioteca dei Leoni), – avrebbe ribadito anche per quest’ultima che l’autrice conosce bene il proprio mestiere. Cimentandosi nel sonetto, misura perfetta presente in tutte le letterature europee e usato dai nostri grandi del Novecento, aveva infatti dato una prima egregia prova di disciplina affrontando con disinvoltura, direi quasi con leggerezza, una serie di difficoltà tecniche difficilmente accessibili a poeti anche di vaglia. Con questo nuova preziosa creazione, nominata semplicemente Haiku (Biblioteca dei Leoni), l’asticella si alza per una nuova sfida con la lingua, la metrica, la tradizione italiana abbandonando l’amato endecasillabo che le “canta dentro” fin dall’infanzia. Ce n’è traccia, forse inconsapevole, in un verso del passato, riletto recentemente, che risuona ora come una premonizione: lasciami decollare in altri cieli, /magari controvento incontro al sole (Come goccia di vetrata, 2008). Sarà il sole del Giappone? Non lo sappiamo, ma certo è che la tensione sempre alta e il tempo trascorso le hanno dato modo di esprimere appieno intuizioni, pulsioni, ricordanze, già presenti nel suo pensiero allo stato embrionale, in forme sempre più originali e raffinate. Vero è che, alla luce delle tredici prove di scrittura di Lilia Slomp Ferrari, dodici di poesia e una di narrativa, non si può non rilevare che il tono e la postura non sono mutati perché – come opportunamente sottolinea nell’accurata e cordiale prefazione Paolo Toniolatti – per lei scrivere è respirare. Eccola dunque decollare verso altri cieli, magari controvento incontro al sole… Il vento, in realtà, ha assecondato questo volo permettendo alle qualità più spiccate della Nostra di accomodarsi alla perfezione anche nella forma dell’haiku. Penso alla sua genialità visionaria, alla sua speciale religiosità, alla pietas diffusa, riconosciute negli anni da vari critici che hanno recensito le sue opere, in primis da Elio Fox. Qualità che le hanno consentito di percepire e tessere legami con ogni vibrazione nel ventre della natura, segnali di vita sommersa, ai più ignota, e portarla alla luce. Registrare i diversi respiri, i battiti, le pulsioni del cosmo come una rivelazione, sentire improvvisamente palesarsi come preghiera qualcosa che stava confinato nelle zone marginali della sua coscienza, e sciogliersi nodi accumulati nel corso di quella fragile e faticosa avventura che è la vita rivendicando, attraverso poche essenziali parole, il diritto di travalicare il visibile, di dilatare i confini della percezione verso un oltre. E dunque, questi duecento piccoli componimenti, distribuiti su tre righe per complessive diciassette more, altro non sono che l’apice fisiologico di un percorso iniziato nella piccola mente di “una bimba dai boccoli biondi” e praticato oralmente tra i compagni di giochi che la ascoltavano incantati. Una bimba che, per evadere dal peso delle responsabilità e delle fatiche quotidiane, aveva creato un mondo parallelo debordante, uno specchio in cui riflettere le proprie fantasie. Quella bimba, ora donna matura che teneramente dedica il libro al marito Paolo per i cinquant’anni del loro matrimonio, ci racconta nella Nota in chiusa che i suoi haiku, raccolti su foglietti nel corso degli anni, sono i suoi “silenzi parlanti, le pennellate della mente, la fugacità di sensazioni in dialogo contemplativo con tutto il meraviglioso mondo che la pupilla riesce a intrappolare”. Ne cito solo alcuni che sento particolarmente vicini alla sua sensibilità, dove il dolore, elaborato fino a diventare nostalgia, diventa sinfonia, combacia con il respiro: Scandisce il cuore/ il passo della vita/ ride la crepa; Sei dentro me/ alla conchiglia ignaro/ come la perla; Camminavamo/ senza sapere il passo/ l’ombra splendente; Solo un bouquet/ acceso di tramonti/ questo amore; Nessuno sa/ nello scrigno del cuore/ il seminare. Sono prove in cui la poesia diventa stile allo stato puro contrassegnata da un’etica della gratuità: per la passione di Lilia Slomp Ferrari a cogliere e riconoscere la bellezza in ogni pertugio del creato, in ogni situazione, registrando i riverberi, i battiti del cuore del mondo, i suoi vuoti, i suoi pieni, i silenzi e i suoni, ogni seme di grazia, ogni sfregio, ogni spasimo, ogni inarcatura. Certo bisogna saper inspirare profondamente prima di espirare quella parola umile, viva, guizzante, quel tonfo capace di cogliere la soglia di ogni divenire; e di seguito distillare la grazia segreta di ogni occasione data, fare di queste intuizioni improvvise un seme di leggerezza da distribuire a tutti: Sapevo cogliere il tremore dello spaventapasseri nel campo, m’inventavo l’amore attraverso le parole non dette, fiorivo le stagioni, gli anni, i semplici gesti e il lapis trovava sempre un brandello di carta per fermare istanti di vita. Del resto, si sa che lo Zen, la filosofia sottesa a questa forma privilegiata di poesia giapponese scelta dalla Nostra, insegna che solo nel relativo l’assoluto si rende possibile, che è la parte a svelarci il tutto, che ogni goccia di rugiada può contenere il cielo intero. Ne sono testimonianza questi pochi haiku, che scelgo tra molti altri di pari valore, dove la natura è sfondo e terreno per dire la propria allenata e sofferta interiorità. Un’epifania di luce, vibrante come il respiro degli istanti, come lo sfiorarci di una farfalla al crepuscolo, come il fruscio di un sogno al risveglio. Nido caduto/ rabbrividisce fronde/ dentro il silenzio; La foglia al bruco/ regala trampolini/ per tuffi verdi; Alto l’azzurro/ riposa la nuvola/ sopra il pino; Falò di sterpi/ accecate le viole/ fumo di marzo; Che mi consola/ è la solitudine/ del girasole.