LA POESIA COME VIA PER LA TOLLERANZA di Paolo Lagazzi

LA POESIA COME VIA PER LA TOLLERANZA

Il vento del fanatismo sta percorrendo la terra. Se la Russia ha aggredito l’Ucraina, e se questa aggressione ha assunto tratti feroci, non meno feroci sono le risposte di chi a questa aggressione si oppone. Mentre l’oblio delle sue radici cristiane, umanistiche e democratiche sta spingendo buona parte dell’occidente a una condanna indiscriminata di tutto ciò che è cultura, tradizione e identità russa (da Dostojevskij a Ciajkovskij, dai tennisti esclusi da Wimbledon fino alla vodka), sento spesso il bisogno di rileggere qualche pagina dei grandi autori russi. Oggi rileggo, nella traduzione di Ripellino, una poesia di Aleksandr Blok datata aprile 1903. S’intitola Per la città correva un uomo nero; sembra una filastrocca per bambini, ma racchiude un senso profondo. Eccola: “Per la città correva un uomo nero. / Si arrampicava a spegnere i lampioni. // Lenta, bianca l’aurora si avvicinava, / salendo assieme all’uomo sulla scala. // Là dov’erano quiete, morbide ombre, / – le gialle strisce dei lampioni a sera, – // la prima luce ha coperto i gradini, / penetra da tendine e da spiragli. // Ah, com’è scialba la città sull’alba! / L’omino nero piange sulla via.” Cosa ci dice questa poesia? Ci parla di un lampionaio che, nella San Pietroburgo della fine Ottocento o del primissimo Novecento, si aggira per le vie spegnendo i lampioni che aveva acceso la sera prima – in realtà suggerisce molto altro (il linguaggio di Blok è quasi sempre altamente simbolico). Se leggiamo questi versi sullo sfondo della storia russa, potremmo riconoscere in essi un presagio o una specie di profezia: nell’alba che avanza lenta ma inesorabile il poeta intuisce e annuncia, ancora in piena età zarista, l’arrivo fatale di un mondo nuovo. Tale mondo sembrerà dischiudersi, al modo di un sogno incarnato, con la Rivoluzione del 1917, ma il sogno sarà, come sappiamo, ben presto smentito: lo stesso Blok se ne renderà conto con estremo dolore, sino, forse, a morire per questo nel 1921. Una simile lettura dei versi sul lampionaio, però, non è certo l’unica possibile. Blok sa bene che, attraverso e oltre la storia, c’è sempre qualcosa di assai più grande e necessario che ci interpella: il mistero doloroso e gaudioso dell’Essere: il regno delle cose prime e ultime. In questo regno non è possibile dividere il movimento infinito della vita (della vita che è anche morte e viceversa) in categorie manichee, negli schemi opposti, rigidi e ideologici dell’Ombra e della Luce, del Male e del Bene come realtà assolute, separate e incomunicabili. Se per un attimo, all’inizio, il lampionaio è un “uomo nero” che potrebbe ricordare la figura paurosa dell’orco delle fiabe, alla fine è un “omino” che piange. Chi ci sembra inquietante e persino malvagio, se cambia la luce del nostro sguardo può rivelarci dei tratti umani, fragili e delicati. La vita nel suo continuo fluire, nella metamorfosi incessante delle sue forme, delle sue linee e dei suoi colori ci insegna a non giudicare, ad abbandonarci a ciò che viene, a riconoscere la Legge cosmica per cui la notte muore rinascendo come alba in attesa di ripetere a rovescio lo stesso passaggio, e così via, all’infinito, ad libitum. Questo appello a liberarci da ogni intransigenza mentale, da ogni schema moralistico e ideologico, non ricorda forse la lezione di Cristo? Chi più e meglio di Lui ci insegna a non dividere la realtà nelle caselle del “puro” e dell’”impuro”, nei compartimenti stagni del “giusto” e dell’”ingiusto”? Chi se non Lui, perdonando l’adultera sul punto di essere lapidata e il ladrone in croce, ha saputo mostrarci quanto ipocriti possano essere coloro che si credono i “migliori” di fronte alla Legge di Dio? In tempi di atroci contrasti come quelli che stiamo vivendo, in tempi così terribilmente segnati dall’assenza totale della tolleranza, dall’incapacità di ammorbidire il dolore nell’ascolto reciproco, nello spirito dell’incontro e del perdono; in tempi in cui l’unica “logica” pensabile pare quella delle armi, non è forse qualcosa di grande, di essenziale che può ricordarci questa piccola, umile poesia del russo Aleksandr Blok?

Paolo Lagazzi

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