IL TESTAMENTO DI GIULIANO SCABIA
Giuliano Scabia è stato un autore inimitabile e poliedrico: ha innovato profondamente il teatro italiano negli anni Sessanta e Settanta portando le sue «azioni teatrali» negli ospedali psichiatrici, nelle fabbriche, nei barconi sul Po, nei boschi; è stato un mitico professore del DAMS che ha forgiato generazioni di studenti; è stato un poeta originale, «cantore delle bestie e delle piante, delle stelle e degli dèi» come ha ben scritto Gianni D’Elia; ed è stato soprattutto un romanziere dalla lingua inventiva, percorsa dalle vene dialettali di quel «pavano» che sentiva come lingua ancestrale, la lingua della sua infanzia ma anche dell’infanzia del mondo. I quattro romanzi del ciclo di Nane Oca sono ambientati in un mondo favolistico in cui la pacifica comunità dei Ronchi Palú deve affrontare scompigli grandi e piccoli. L’altro ciclo, scritto in uno stile più realistico ma sempre attraversato da personaggi fantastici (per esempio l’angelo dagli occhi blu e l’angelo dagli occhi rossi che litigano sempre fra loro), racconta una saga familiare, a partire dal violoncellista Lorenzo (il padre di Scabia era effettivamente un violoncellista), dalle sue due mogli, fino alla figlia Sofia e ora, con quest’ultimo romanzo Il ciclista prodigioso (Einaudi) che esce purtroppo postumo, al figlio Ercole. Ercole, ciclista appassionato (come è sempre stato Scabia), decide di attraversare il mondo in bicicletta per raggiungere i luoghi in India dove il padre era andato a suonare per gli animali della foresta tanti anni prima. Dunque un libro «on the road», ma anche un libro di ricongiungimento col padre, e soprattutto un libro di prodigi, di incantamenti, di poesia.