L’AMORE SECONDO BONADÈ
Lorenzo Bonadè, Seme nel fuoco (Blu di Prussia editrice). A volte la realtà ci oltrepassa con segni indescrivibili ed accenni che lasciano ferite incisive e sanguinanti, ma la memoria è capace di plasmare le lacerazioni per poter ripetere all’infinito il calore della solitudine. Una solitudine che qui si fa violenza del dettato per tutte quelle angolazioni sessuali che ripetono pagina dopo pagina una specie di rabbia contenuta, frammista a guizzi di ilarità aperta. Un mondo, quello di Bonadè, contrassegnato dalle immagini colorate delle vegetazioni, degli animali, dei giorni trascorsi nella contemplazione dei rigori invernali o delle primavere segretamente fiorite, ma il tutto sempre ben impastato nella lussuriosa capacità di rincorrere l’amore in tutte le possibili fragranze della carne. Un mondo che si immobilizza nel sogno, tra il silenzio o il fragore del mare, fra terrazze assolate ove le fanciulle attesero con ansia il trascorrere delle loro illusioni, o in una spiaggia affollata nel rincorrere il divenire del Tempo ai margini di una luce abbagliante, ma che sa anche aggrovigliarsi fra i capelli, fra i petali di asfodeli e tremule corolle. Sentimenti provati, angosce vissute, passioni incontrate e soffocate, germogli di rinascita ed ipotetiche variazioni, invocazioni di armonie e miraggi di passione, costituiscono il sottofondo di un canto tutto teso prepotentemente a quei frammenti di vissuto, sottratti con inquieta partecipazione all’ombra dell’ignoto, e concentrati in un’univoca aspirazione. Qui una forte intensità metaforica mostra il suo fascino, avvolta spesso da una malinconia che distingue il canto, come un fluire dei versi prima nella psiche e poi sulla pagina, quasi mosaico lirico delle trasparenze e delle vibrazioni di una rifrazione. Un mosaico che nei colori forti del fremito si arricchisce di volta in volta di quelle confusioni sessuali, sempre capaci di scuotere la personalità. Se accosta una mal celata violenza : “Orbene fratelli/ più non rievocate/ è ora di sessi/ insinuati in ani famelici/ apriamoci a nebulose/ annunciazione di deliri/ rendiamo vano l’utero/ Saturno riluce/ come sperma nella notte/ la procreazione è destinata/ ad estinguersi/ altresì vani/ furono la libertà per l’uomo/ il culto in un Dio”, non si recita la sensibilità che potremmo appellare empatica e creaturale, bensì sembra che la musicalità stessa abbia trattenuto qualcosa delle antiche corruzioni. Nascosta dalla passione, avvolta nella melassa la vera meta del piacere erotico appare modellata nella trasgressione, tollerante al giusto punto di vizi e indulgenze, dove uomini e donne promettono delizie e contemporaneamente ti avvertono di un probabile pericolo emotivo. Nell’angiporto: “Dolcemente si accarezzano i marinai nella bruma/ mira il firmamento è limpido e corrotto/ i bimbi sfidano Dio al chiaro di luna/ I baci del traditore risplendono nella galassia iridescente/ Giuda Iscariota sussurrò all’amante inconfessato/ eterna fedeltà nel paradiso dei perdenti/ Quando eterno amore suggellano gli innamorati/ sfioriscono le bianche rose al gelido vento/ perché in catene d’oro le verità ci hanno incriminati/ La vermiglia fanciulla è la figlia di ognuno/ l’assassino intona una melodia soave e vieta/ lacrima solo l’Angelo del Perdono.” – Qualche tentativo attraverso la primigenia naturalità, vivificante e reale, ritorna al tema delle scelte contrapposte: distanza, momento – amore mercenario, dialettica psicologica, per una costruzione corale che abbia dei riflessi apparenti ed uno scambio che rincorra la vicenda destoricizzata. Ogni aspirazione contiene un fondamento sensoriale che ritorna nei versi, rincorrendo a volte qualche valore che, spia della moralità, si fa sempre più sottile ed esauriente, in un pirotecnico gioco di fantasmi caratterizzato da possibili metafore fascinose, sino a concludersi con una “Via Crucis” del tutto particolare, e descritta brevemente con una fiamma ossidrica che impedisce anche il respiro.
Prefazione