COZZOLI: L’IMMENSA NORMALITÀ
È appena uscita l’originale plaquette L’immensa normalità (Il Robot Adorabile Edizioni, con una tempera di Adalberto Borioli) di Vittorio Cozzoli. Ne parliamo con l’autore.
Come è nata “L’immensa normalità”?
E’ nata da sé, inaspettata, come ciclo in sé concluso. Si è scritta, con mio forte coinvolgimento, quasi sotto dettatura. Chi o cosa ispirasse tanto intensamente ed urgentemente non saprei ora dire. Ma è certamente l’immensa normalità della vita che si è servita della natura per portare anche me alla comprensione di quanto ‘immensa’ sia la ‘normalità’ della vita della natura e quanto noi, così distratti e oggi condizionati dalla marea di scienziati ed esperti quotidianamente invasivi, restiamo lontani dal capirlo. Ora rispondo alla domanda facendo riferimento alle cause, che, come le guerre, sono prossime e remote. La prossima è l’essere stato attirato da un libro che non avrebbe dovuto far parte dei miei solitamente frequentati, cioè “Elogio delle erbacce”. Un libro che si occupa della ‘difesa’ di quelle che noi chiamiamo erbe infestanti, ma in realtà le innumerevoli spontanee che la natura, nel suo libero creare, fa nascere quando e dove vuole. Già questo è un modo di concepire, da un altro punto di vista e di considerazione, la libertà. Oggi viviamo in un tempo in cui noi uomini, incessantemente ‘infestati’, non sappiamo difendere la nostra libertà, riconoscendo la natura e le forme dell’infestazione, compresa quella dei media e dell’astutissimo marketing, l’una e l’altra ben altrimenti ‘normale’ e normalizzante. La causa remota, invece, è l’improvvisa esperienza di visione, in un campo, di un minimissimo fiorellino bianco, fattomi notare da una straordinaria amica che mi accompagnava. Fermatasi all’improvviso, mi disse: “Guarda la bellezza di questo fiorellino nascosto tra le erbe”. Neppure me ne sarei accorto. Da allora quella fulminazione è stata portata in me ed ha dormito, come un seme, fino al suo attuale risveglio (qualcosa ‘si è scritto’ nel primo verso della prima poesia del ciclo).
Perché questo titolo?
L’ho scelto riconoscendolo presente in un verso di un’altra poesia del ciclo, che inizia così “Fiordalisi, camomille e papaveri. Dei campi / l’immensa normalità”. Normalità che, compresa più a fondo, mi rinvia a Dio, misterioso responsabile di tutte le erbe e di tutte le piante. Perché, poi e purtroppo, gli uomini considerano certe erbe buone e coltivabili e altre erbacce infestanti? Ma io ho capito quello che mi vogliono far comprendere: anche noi dividiamo non solo le piante, ma anche gli uomini in utili e produttivi, perciò ‘coltivabili’, ed altri improduttivi ed inutili, perciò infestanti. Dunque? Da allontanare o estirpare. La storia del Novecento ne è stata tragico testimone, e la storia continua. Ma l’immensa normalità della natura non procede così maliziosamente e continua a mandarci il suo messaggio. Dunque, non un invito a tornare alla natura con occhi e cuore romantici, ma un ritorno assai più reale, responsabile, pieno.
C’è una sua competenza botanica su fiori e piante da sempre o cominciata da un certo momento in poi e dietro quale a spinta?
Questa competenza mi invita da sempre, ma fin dal principio non è stata intuita nel suo valore dai lettori. I più, leggendo quelle ‘mie’ nominazioni della natura, pensavano a me come a un’anima candida, pronta a cantare uccellini e fiorellini, restando lontano dai drammi del mondo. Non si trattava di emozioni, ma già di una fonda coscienza di cosa è la natura e di cosa è la storia; e di quanto quest’ultima, catturando gli uomini drammaticamente, li allontanasse dalla coscienza di cosa significa essere uomini: figli della natura, e non solo della storia. Subito, dall’inizio ho compreso che la natura è la ‘lettera’ di una ‘allegoria’ (dire una cosa per farne capire un’altra) che, per mezzo di sé, porta alla più autentica coscienza dell’identità e del fine del vivere. E qui mi sono stati di aiuto Leopardi per un verso, e Dante per tutti gli altri. Dunque ogni cosa della terra rinvia ad un’altra, che è dentro di noi. Subito mi è apparso come proprio della poesia questo unificare le due dimensioni del dentro e del fuori. L’una aiuta a capire l’altra. Ma ciò che più vale ed importa è il ‘significato’, non solo, riduttivamente, il significante. Valorizzare il significato oltre la bellezza è un dovere, che va al di là del limite dello specifico letterario. In questo senso c’è anche da considerare, per quanto mi riguarda, anche una speciale ‘sensibilità’ che, come poeta, ho coi nomi delle cose (forma, peso, fascino che unisce l’aspetto fonico e ritmico a quello semantico e culturale) e quello fonico, ritmo che questi nomi portano con sé e donano a me, poeta e non botanico. Alcuni nomi sono veramente fascinosi, capaci di produrre un’immaginazione che si può trovare nei libri di poesia e non di scienze.
Continua anche in queste poesie il suo rispecchiamento nella grande pittura, nella letteratura, nella tradizione spirituale?
Sì, continua, in quanto tutte mi portano in un’unica direzione verso il compimento dello scopo della mia attività di scrittore. Mi capita di dire che sono come un treno che viaggia su due binari (mia poesia e mio commento a Dante), che procedono paralleli – indipendenti ma interdipendenti – verso la stessa meta. In questo mi sono compagni tutti quegli Artisti che nei secoli hanno viaggiato per portare non solo bellezza, ma anche significato agli uomini attraverso la bellezza. Cerco di mantenere viva la loro presenza e soprattutto il messaggio del loro significato, siano essi poeti o pittori, santi compresi. Perché escludere dalla poesia la realtà e l’intelligenza spirituale?
Scelga una poesia tra tutte che sia rappresentativa della plaquette.
Scelgo questa:
L’erba di San Giovanni, la mimosa
delle paludi e il garofanino maggiore.
Anche la rosa balsamina mi diverte.
In quale natura mi riportate? Non ogni
questione è spinosa, ma ogni vero
ha le sue spine. Il mio come linfa
sale, risalire vuole e là m’invita.
Luce sopra luce è questa che me sopra me
chiama, senza prepotenze, come quelle
di un io da male erbe infestato.