ALOISE IL POETA CHE AMA LA MUSICA
Le sue liriche sono contrappuntate da una sorta di saudade brasiliana, quello struggimento tipico di chi è , obtorto collo, obbligato a lasciare le sue radici, salvo riappropriarsene ad ogni ritorno con sempre rinnovata passione, celebrando il tempo che fu, l’infanzia, il paese, i sogni spezzati e l’immutabilità dei luoghi ancestrali che trasudano di un antico dal quale non ci si può distaccare, neanche se si vive a diversi chilometri di distanza. Il poeta in questione è Pietro Aloise, cosentino di Bucita (San Fili) da dove andò via nel 1954, appena undicenne, emigrando a Roma, insieme alla madre, per necessità. Ma Pietro Aloise non ha mai reciso il legame con la sua terra, vivificandolo anzi ad ogni piè sospinto, proprio grazie allo strumento della poesia. Quando recita le sue liriche, la potenza del suo linguaggio poetico evoca i testi o i versi di pancia di un Franco Scaldati o la lingua ancestrale di un Mimmo Borrelli, di grande forza evocativa. Una phoné particolare che solo il dialetto sa restituire. La poesia gli ha riservato molte soddisfazioni facendogli conoscere tantissima gente e tra questa molte personalità. Appena può, fa volentieri ritorno nella sua terra. Come è accaduto in questi giorni quando, invitato dalla Commissione cultura di Palazzo dei Bruzi, Aloise ha ritirato nella Sala “Quintieri” del Teatro “Rendano” il riconoscimento alla sua attività professionale che non solo di poesia si è nutrita, ma anche di musica. Il 6 maggio del 2015 ad introdurre l’ospite degli incontri della Commissione cultura è stato il Presidente Claudio Nigro che, nella sua articolata relazione, ha sottolineato come “Pietro Aloise nelle sue poesie racconta le emozioni, le delusioni e le speranze, disattese, del popolo calabrese, sempre in cerca di nuove occasioni di riscatto”. Per la Vice Presidente Maria Lucente “i versi di Aloise arrivano direttamente all’anima. La sua poesia è un concertato di vissuto e di emozioni che evocano una sana tristezza, ma non sfociano mai nel pessimismo”. E “quello del Comune di Cosenza – ha invece detto il consigliere comunale Mimmo Frammartino – è un riconoscimento che equivale ad una sorta di risarcimento morale e al tempo stesso istituzionale nei confronti di chi incarna alla perfezione la dimensione del nemo propheta in patria”. Giudizio condiviso anche dal consigliere Francesco Perri per il quale il poeta di Bucita “è un gioiello di cultura del nostro profondo Sud”. Quando prende a raccontarsi, Pietro Aloise, da grande affabulatore, dispensa aneddoti a profusione, cominciando col dire che “ognuno di noi ha un destino segnato”. E racconta delle sue passioni, anzitutto quella per il calcio. Nelle sue intenzioni c’era quella di diventare un grande calciatore, ma il sogno fu spezzato durante una partita, per un incidente di gioco. Erano gli inizi degli anni ’50. Militava nei pulcini della Roma e spesso incontrava giocatori più grandi di lui, gente che stava anche in prima squadra. In cambio del suo impegno non riceveva una paga, ma collezioni di francobolli. Il secondo sogno per Pietro Aloise è stata la musica. Prima conosceva solo la banda del paese, il rumore del vento, il verso delle cicale ed il suono delle campane. Poi, però, si imbatté casualmente in un bambino che suonava una fisarmonica e ne rimase rapito. Un giorno, mentre si recava dalla nonna per il pranzo, da una casa vicina ascoltò un suono strano e gracchiante. In quella casa avevano acquistato una delle prime radio del paese, quando la radio conobbe il suo momento d’oro, proprio agli inizi degli anni ’50. Da quella radio uscivano le note di “Ma l’amore no”, scritta dal maestro Giovanni D’Anzi e Pietro, incuriosito, si spinse fino a quella casa dove vide due donne ballare sulla melodia di quel brano. Fu una folgorazione. Quando si trasferì a Roma, cominciò a lavorare in una farmacia di San Giovanni dove era addetto alle consegne, muovendosi da una parte all’altra della città in sella ad una bicicletta. Durante uno dei suoi spostamenti, adocchiò nella vetrina di un negozio di strumenti musicali di Santa Maria Maggiore una chitarra elettrica celeste. Fu subito coup de foudre, ma non poteva permettersela. Ci volevano troppi soldi. Ma non si perse d’animo. Si guardò intorno e vide un banco lotto. Si giocò dei numeri e vinse. Fu una bella lotta per incassare la vincita che non poteva riscuotere personalmente perché minorenne. Dopo qualche resistenza riuscì a convincere la titolare del banco lotto. Con quei soldi corse a comprare la chitarra e da quel momento tentò di entrare nel mondo della musica. L’impresa gli venne in qualche modo facilitata dal fatto che suo vicino di casa era Enrico Ciacci, fratello del più famoso Little Tony. Da lui apprese i primi accordi di chitarra. Negli anni ’60 lo ritroviamo a Treviso a suonare in un complesso rock, “ma non ero bravo, ammette candidamente Pietro Aloise, perché in tutte le cose ci vuole il talento”. Poi prese a scrivere canzoni e a sostare, dalla mattina alla sera, alla RCA Dove si imbatte in Franco Migliacci, il paroliere di Modugno e autore di “Nel blu dipinto di blu”. Migliacci apprezza una delle canzoni di Pietro Aloise, ma gli suggerisce di cambiarne le strofe. Sempre nei corridoi della RCA incontra Teddy Reno, alla ricerca di una canzone per Rita Pavone da portare a “Canzonissima”. Aloise gli offre una sua composizione, “Lasciati andare a sognare”, e fu un successo. La canzone scritta per la Pavone rappresentò per Pietro Aloise una sorta di spartiacque tra la sua attività di musicista e autore e quella di poeta. “Fino ad allora di poesia non sapevo assolutamente nulla” – ha ammesso Pietro Aloise in Commissione Cultura. Ma a cambiare le carte in tavola fu l’aver conosciuto per caso Dante Maffìa di cui poi divenne amico inseparabile. Ed è proprio Maffìa a firmare la prefazione di “Nonostante tutto i fuochi sono accesi”, la silloge che rappresenta l’esordio nella poesia per Pietro Aloise. Alla poesia continuava ad alternare l’attività di consulente musicale sia per Radio 1 che per Radio 2 e divenne ben presto amico di Giancarlo Guardabassi, quello dei cosiddetti “Dischi caldi”, sorta di anticamera della più titolata e gettonatissima “Hit Parade” di Lelio Luttazzi. Per tornare alla poesia, la summa dei versi di Aloise è contenuta nell’antologia poetica “1988-2007 – Passato, presente , futuro”, pubblicata a marzo del 2012 dall’editore Punto & Virgola comunicazione e nella quale sono contenute alcune delle liriche lette dal poeta al “Rendano”, come “Il gelataio” o “Alla gente del Sud”. Ha collezionato tante prefazioni e note di lettura da altrettanti amici importanti: Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Dante Maffìa, Walter Pedullà, Sergio Valzania, direttore per lungo tempo di Radio Rai. Ed ha vinto un sacco di premi, molti dei quali prestigiosissimi. In occasione del Premio Recanati, dedicato a Leopardi, Pietro Aloise si ritrovò insieme a poeti come Nelo Risi, Dario Bellezza e Giovanni Giudici e fu portato da loro a vedere il colle dove il poeta recanatese compose “L’Infinito”. Non gli fece una grande impressione, anche perché l’Infinito di Pietro Aloise, per sua stessa ammissione “è in Calabria, nella sua Bucita”. Quella che porta sempre nel cuore facendovi ritorno anche all’improvviso, a volte di notte, all’oscuro persino dei suoi amici più stretti, come capitò nel ’92, quando, accompagnando in tournée il cantautore Luca Carboni, mentre stavano viaggiando alla volta di Bari, decisero insieme di passare la notte a Bucita per rivedere la sua gente e i luoghi della sua infanzia, il suo Infinito.
Giuseppe Di Donna