GLI SPAESAMENTI DI CURCI
Liturgie del silenzio di Vittorino Curci (La vita felice, 2017) è un libro che parla di spaesamenti e lo fa con una lingua a volte ostica ma mai fine a se stessa. Anche quando l’autore crea neologismi non lo fa per puro esercizio letterario ma per sottolineare questo spaesamento. “Scarnifichiamo a fondo la memoria / con i riccioli di una qualsiasi domanda”. Il silenzio è il luogo dei parlamenti serali, il posto dove rielaborare le certezze, trasfigurarle. Qui non si parla di vuoto: “quello che ci insegna la voce / è un piccolo passo immeritato”. Si tratta di guardare le incrinature, valorizzarle. L’eternità diventa lo scenario all’interno del quale l’individuo può fare i conti con una coscienza di volta in volta in discussione – e per questo – più forte, poiché consapevole. Alla fine la risposta è nell’accettazione: “non chiediamoci /perché siamo soli”. La poesia di Vittorino Curci è lavoro intenso sulla parola e sulla visione, quando guardarsi dentro non basta, perché il dentro e il fuori si confondono e appartenere a un tempo (che è anche il titolo dell’ultima sezione) è tornare cambiati, interiorizzare l’inquietudine.