GLI ‘INCANTI’ DI VALÉRY
Paul Valéry rappresenta uno degli intellettuali più controversi dello scorso secolo, per la sua classicità e al tempo stesso per quella auto analisi quasi ossessiva, permeata di formalismo e insieme di ricerca che contraddistingue il suo lavoro letterario. Ostinato e finissimo studioso, totalmente insensibile alle cariche e alle onorificenze che si vide assegnare in vita, oggi la sua poetica è al centro di una lettura che cerca di percepirne aspetti meno discussi e ne discute il simbolismo, anche in rapporto alle nuove avanguardie. Nell’opera Charmes (Incanti in italiano, con traduzione e introduzione di Pierangela Rossi, Biblioteca dei Leoni) l’autore per la prima volta riesce a declinare in una opera poetica il significato ontologico della stessa; le poesie infatti raccontano la loro stessa genesi, nel turbinio emozionale che da bozza prende forma, da immagine e pura sensazione si fa parola. Il poeta che mai ha cessato di “pensare” la poesia (nonostante il suo duro giudizio che la accomuna all’amore come un errore, per buona parte della sua vita) torna a scrivere e a raccogliere i frammenti che sono una creazione di infinito, in cui la parola non cessa di vibrare una comune emozione di fondo a celare stupore e “incanto” al di là del disprezzo, del senso di inutilità che ha investito quest’arte mentre altre scienze sembrano poter almeno decodificare il mondo circostante. Nel sublime “Cimitero marino” assistiamo alla punta più alta della poetica di Paul Valéry , rappresentando l’opera più emblematica della raccolta. Dopo la prima guerra mondiale e i suoi morti, al cospetto del cimitero di Sète (città natale del poeta) “Dove sono dei morti le frasi familiari, / L’arte personale, le anime singolari? / Fila la larva dove si formavano pianti.” si materializza il luogo in cui il futuro si presenta come onde sulle rocce, il vero “incanto” dove ogni interrogativo si infrange proprio come il mare, a ricomporsi poi nella sorpresa del vento a scombinare le pagine di un libro. Non ci resta altro che accogliere il monito “Il vento si leva! Occorre tentare di vivere!”, che condensa in esortazione un imperativo quasi sognato, ma forse già assolto nella creazione stessa dell’opera letteraria. Uno scatto che accoglie un incitamento che lo stesso lettore non può non accogliere, e di cui non può non avvertire l’urgenza.