FOLGORE E IL FUTURISMO
Luciano Folgore (Roma 1888- Roma 1966) amava gli pseudonimi a partire dal suo stesso nome che al secolo era Omero Vecchi. Ma tal vezzo di mimetizzarsi (come fece il ben più noto Pessoa con l’eteronomia di non poche sue opere) lo mantenne a lungo pubblicando con un ventaglio di nomi diversi alcune sue raccolte (Albano Albani, Esopino, Fiore di Loto, Er Moro de li Monti ed altri). Scomparso ingiustamente dal circuito editoriale, non manca ancor oggi di interessare non per mera acribia filologica, ma per la parabola poetica compiuta nel corso della sua vita di poeta ed artista. L’epoca in cui maggiormente ebbe successo fu quella dell’amicizia con Marinetti e del futurismo cui aderì nel 1909, producendo negli anni successivi raccolte che si ispiravano ai dettami dell’avanguardia; probabilmente a questo periodo si deve l’adozione del suo nome d’arte “Folgore”, a simboleggiare l’irruenza, il rumore, il fragore, elementi di rottura e di espansione che provenivano dal brulicante mondo industriale che si faceva strada nella sonnolenta Italia degli inizi del ‘900. Ma anche il nome “Luciano” viene adottato, si è fatto notare, in sintonia con la sensibilità del tempo, nel significato di “lucente”, contro tutto ciò che è opaco, oscuro, superato. Nasceva così la coppia “Luciano Folgore” che può essere letta come iniziazione al credo futurista. Aderiva così Folgore ad uno dei dettami della poetica futurista che proponeva di espellere l’elemento introspettivo dell’Io dalla letteratura, rovesciando l’attenzione del poeta verso l’esterno, la materia, la sensibilità, il concreto, visibile, tangibile, udibile. Si deve peraltro notare, per onestà filologica, che tra il tredicesimo e quattordicesimo secolo è vissuto un poeta dal nome di Folgòre di San Gimignano, autore di sonetti, probabilmente conosciuto da Luciano Folgore, segno di una traditio non del tutto rinnegata dal poeta romano. Egli stesso elaborò sull’onda futurista un suo manifesto nel 1913 Lirismo sintetico e sensazione fisica, riguardo al quale va notato che Folgore reintroduce la parola lirismo, ostracizzata dai vertici del movimento e qui usata ovviamente con una degradazione rispetto all’accezione classica. Il Folgore futurista è sostanzialmente un moderato all’interno del movimento e mitiga alcune delle più ardite provocazioni marinettiane. Il titolo che ben raccoglie questa nervosa sensibilità è la raccolta Il canto dei motori (1916) ed in essa la poesia La cellula che qui riproduciamo, ove compaiono parole di un lessico nuovo ed allora assolutamente provocatorio rispetto alla tradizione, anche se va detto che Folgore non raggiunse mai gli eccessi di altri autori futuristi a lui coevi. La cellula è qui tematizzata come adesione alla vita nel suo sorgere primigenio, come scaturigine primaria di vitalità e di energia, centro di irradiazione di movimento e di azione. In certi passaggi non è difficile individuare uno dei temi più cari dei futuristi, la dinamicità, velocità, cromaticità dell’automobile che modifica la stessa percezione del paesaggio. …
Roberto Taioli