CAPRONI: SULLA POESIA

CAPRONI: SULLA POESIA

Giorgio Caproni, Sulla poesia (Edizioni Italo Svevo). Il 16 febbraio 1982 presso il Teatro Flaiano di Roma si tiene un incontro di poesia moderato da Maria Luisa Spaziani. Ospite della serata è Giorgio Caproni, a cui è affidato il compito di tenere una lezione su una propria poesia dal titolo Parole (dopo l’esodo) dell’ultimo della Moglia. L’intervento del poeta, ricco sia di riferimenti concreti alla propria esperienza personale che di dotte citazioni di autori quali Machado e Proust, a poco a poco travalica l’ambito dell’esposizione testuale. La sua dote eccellente di amabile comunicatore trasforma la conferenza in un qualcosa di più intimo ed essenziale che coniuga insieme l’intenzione di chiarire i proprio versi e la necessità di fornire le coordinate per orientarsi nel vasto mare della poesia. Il flusso quieto e circostanziato delle parole modula un percorso che parte dal dire dei significati simbolici, metaforici e musicali che rendono il linguaggio poetico una forma di comunicazione diversa rispetto a quella quotidiana, si sofferma a descrivere le modalità di uno scavo interiore che diviene condivisione di se e sfocia, infine, in una involontaria ma esemplare lezione di vita. Nella testimonianza umile e garbata di chi risale la corrente del tempo in verso opposto.  Non capita spesso di trovare, tra gli scaffali delle librerie, libri che possono essere accostati a questo prezioso volumetto uscito dal pregiato scrigno della collana “Piccola biblioteca inutile” della casa Editrice Italo Svevo per la curatela di Roberto Mosena. Esso ci fa dono della trascrizione integrale della conferenza di Giorgio Caproni, che venne allora registrata dall’attore Pietro Tordi presente in sala. Le parole del grande poeta livornese danno conto di un amore autentico per l’arte poetica che si fa in lui dedizione assoluta e condotta di vita. La lezione di quel lontano febbraio del 1982 ci riconsegnano il denso spessore con cui egli covava la riflessione sulla poesia: non solo passione profonda del cuore, ma una forma d’arte in cui si combinano intuito e acume, tensione intellettuale e spigliatezza mentale, stupore e vigile attenzione applicati alla descrizione di realtà fugaci, mobili e ambigue che non è difficile, se non impossibile, portare alla misura precisa di ciò che è definibile. Ma anche la necessità di salvarsi nella poesia, unico possesso in un modo minacciato perennemente dalla perdita di sé e degli altri, dall’angoscia e dall’inconsistenza. C’è qualcosa di magico e di appassionante nel gustoso intervento di quella sera in cui Caproni assume su di se la funzione di testimone di un momento in cui a poesia fa il punto sul proprio ruolo dopo e oltre i miti che l’hanno contrassegnata. E si può persino dire che un testo così ricco di fascinosa dedizione basterebbe anche da solo a giustificare l’esistenza della poesia.

Gian Paolo Grattarola

mangialibri.com

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