ROVERSI E L’INTERESSE PER IL REALE
La formazione ideologica e poetica di Roberto Roversi avviene nel dopoguerra, influenzata quindi dalle grandi aspettative resistenziali e democratiche presto deluse. All’interno di una realtà in evoluzione, dove però il rimpianto prevale sulla speranza, alle ricerche di linguaggio dell’ermetismo si sostituisce una nuova volontà di dialogo e la programmatica prosasticità del “realismo”. Ma il discorso, nel caso di Roversi, non è così semplice; va per esempio ricordato anche il sodalizio con Pasolini e Leonetti intorno alla rivista Officina negli anni 1955-58, e il lavoro ideologico e di rinnovamento svolto in comune. I testi che Roversi raccoglie in Dopo Campoformio (1962 e 1965) riprendono le forme del poemetto sulla linea postpascoliana già iniziata da Pasolini. Quelle lasse narrativo-epiche (o elegiaco-epiche) mettono in luce un interesse rinnovato verso il reale: la campagna e la città, il deterioramento progressivo della vita, la sempre più evidente disattenzione all’uomo. L’ottica di Roversi, marxista, è accentuata dalla capacità di osservazione, che consente i passaggi più insoliti: dalla narrazione alla elencazione al giudizio storico-critico, tutto sembra rientrare nella poesia perché tutto rientra nel reale. C’è qui come un magma in lento movimento, che la pietà e la solidarietà umana del poeta innestano in un attonito cerchio dove si consumano o si fondono il prorompere del grido, il patetico, la sentenza, il moralismo acceso. Il poeta tende a rimescolare le carte ambigue della casualità esistenziale e sociale per dare non soltanto l’elegia o l’epica del reale nella sua espressionistica brutalità, ma il segno poetico del presente. Ed è la stessa potente coerenza che Roversi ha portato in tutta la sua attività, nella poesia come nei bellissimi e difficili romanzi, nel teatro e negli scritti critici.