IL RICHIAMO DELL’ALLEGRIA IN PALAZZESCHI
Il poeta Aldo Palazzeschi risponde al richiamo dell’allegria, a quel riso appunto che con gli studi di un Bergson già si impone nel clima del primo Novecento. Non c’è il poeta-vate alla D’Annunzio, che parla per il popolo, né il poeta crepuscolare alla maniera del primo Govoni, che esprime la poetica della propria anima. C’è solamente una follia sorridente, che dissacra e fa parodia, tutto in uno sperimentalismo che è tipico delle avanguardie. Ma tra le differenti e varie soluzioni scrittorie realizzate da Palazzeschi, anche il romanzo rientra perfettamente in un discorso di innovazione e alternatività. Si entra addirittura nel surreale con il testo che è tra i più citati quando si parla di Palazzeschi e della sua originalità, ovvero Il codice di Perelà, pubblicato nel 1911 nelle Edizioni futuriste di Poesia, poi diventato Perelà uomo di fumo nel 1954 per le edizioni Vallecchi. Un uomo di fumo è il protagonista del racconto, colui che, attraverso la cappa del camino in cui è nato, giunge tra gli esseri umani. Unico nel suo genere e anomalo agli occhi degli uomini, Perelà viene ammirato in tutta la sua diversità, e incaricato dal Re di redigere addirittura un nuovo e migliore Codice di leggi. Definita dall’autore stesso come «la mia favola più aerea, il punto più elevato della mia fantasia», Il codice di Perelà è definito un “antiromanzo” da parte della critica. La libertà e la leggerezza della non-consistenza corporea, il riuscire a sfuggire alla reclusione grazie alla propria natura di fumo: questo è l’inizio dell’allegoria che dà avvio alla narrativa fantastica del Novecento. Ma dopo lo sberleffo, segue una seconda fase della produzione di Palazzeschi, quella che vede nelle Sorelle Materassi (1934) il segno di identificazione: cinquantenni ricamatrici dedite al proprio lavoro, sconvolte dalla presenza del nipote Remo, giovane affascinante e spendaccione. I ritratti sociali che scaturiscono dalla penna dell’autore in questo periodo sono caratterizzati dalla narrativa che, partendo dalla demistificazione, si tinge di memoria, un’affascinante prosa che sa stagliarsi nel panorama letterario accanto, per esempio, a un inquadramento borghese tipico di Moravia. Si parlerà, per questo “secondo Palazzeschi”, di assurdo e di grottesco (Giorgio Luti), proprio a causa delle caratteristiche e del modo in cui viene raccontata la piccola borghesia italiana che ne è protagonista. Alla fine della sua produzione, Palazzeschi si riconferma in quella sua identità che si sposa con la vitalità artistica propria del primo periodo futurista, nonostante siano evidenti, tra le righe, le consapevolezze dell’età matura e maturata letterariamente anche nella visione del mondo. Circa cinquant’anni di varia e straordinaria produzione, quella di Palazzeschi, che ha saputo farsi riconoscere in completa fierezza sia in ambito poetico sia in ambito narrativo all’interno del panorama letterario italiano. Ancora oggi, il nome di Aldo Palleschi ritorna imperativamente negli studi umanistici riguardanti il Novecento: la sua impronta surreale e irregolare continua a fare di Palazzeschi un vero vanto nazionale.