L’AMORE PER LA VITA IN PARDINI
Già molti anni or sono il Corriere della Sera di Milano pubblicava un articolo letterario, nel quale l’autore riportava un’apodittica affermazione di Eugenio Montale: “La poesia è vita”. Leggendo quest’ultimo lavoro di Nazario Pardini, il collegamento con tale memoria è stato quasi immediato: Nel frattempo viviamo (Guido Miano Editore) contiene la coniugazione al presente del verbo, dell’azione del vivere. Ed è un amore per la vita incondizionato, che viene prima di ogni domanda esistenziale e finalistica su questa nostra avventura umana, ancor prima dunque di aver scoperto o capito il suo significato, il suo senso: il poeta scommette sulla vita e l’uomo s’identifica con l’artista senza alcuna scissione o dicotomia. Tante sono le liriche che possono dimostrare tale assunto, a partire da quella intitolata Gioachimismo, con riferimento alla dottrina e al movimento spirituale di ispirazione millenarista generatisi dalla predicazione e dai testi del monaco cistercense calabrese Gioacchino da Fiore (1130-1202) che, basandosi su una interpretazione allegorica della Bibbia, profetizzava la venuta di un’età dello Spirito sulla terra, con il trionfo del Bene e delle virtù cristiane: “Se il Paradiso fosse in terra, / mio Signore, /…/ senza la guerra, l’odio e il patimento, / qui tra le povere cose, / tra l’erba fresca delle mie radure, / o sopra i colli, / tra i papaveri, le spighe e le ginestre / ove io conobbi amore. /…/ Sparirebbero dannati e qui tra noi dominerebbe aperto il Paradiso / col viso blu profondo ed il suo altare / di giada verde come il nostro mare” (Gioachimismo). È l’umana nostalgia dell’Eden perduto dopo la caduta iniziale, sempre secondo il racconto biblico. Altri componimenti poi fanno riferimento ad un mestiere di esistere, che occupò a lungo anche la riflessione di Cesare Pavese – Il mestiere di vivere – da cui emerge un accentuato clima di solitudine esistenziale: “Passavo la sera seduto davanti allo specchio per tenermi compagnia”. Fuori da ogni equivoco, Pardini sa che esiste il rischio della solitudine, ma sa bene anche che nessun uomo è un’isola e dunque il suo ‘mestiere di esistere’ va in direzione opposta alle conclusioni dello scrittore piemontese, abbraccia la voglia dell’incontro, di natura, di meraviglia, di restare abbarbicato alla vita in ogni modo: “Ho conservato una foglia; / svenata dall’autunno / si macchiava di sangue e non aveva più potere; / l’ho salvata per miracolo. / È lì in un barattolo / sotto vuoto spinto. / Mantiene, sì, l’aspetto / di chi muore, / ma pur sempre un colore senza fine” (Ho conservato una foglia). Ed anche: “Sarà solitudine, / sarà tristezza, noia, / sarà pesantezza per il bagaglio / dei ricordi che ci portiamo: / la vecchiaia! / Ma pur sempre / l’unico mezzo, / il solo, possibile mezzo / di restare più a lungo / a respirare la vita” (Sarà solitudine). Emerge il realismo dell’autore, impresso anche sullo stile letterario qui opportunamente ad usum populi, ma per nulla mancante di ampi respiri lirici, di vera poesia. Un realismo che si veste di volta in volta di memorie domestiche e familiari, di momenti del quotidiano tra suoni di campane e lavori nei campi, delle storie che potrebbe raccontare il marciapiede, della scaltrezza del tempo che nasconde il suo trascorrere dietro gli eventi della vita così che giunge la fine quasi senza preavviso, della sottile ironia su funerali e morti… Il poeta traccia dunque un campionario di varia umanità e molteplici atmosfere che letterariamente compongono una sorta di ‘zibaldone esistenziale’ in versi, in cui, se volessimo cedere alle formalità classificatorie delle tematiche, potremmo individuare due triadi essenziali: vita-anima-destino e natura-memoria-amore.Eccoci dunque a pedinare l’anima del poeta per scoprire insieme a lui e alla sua ricca umanità quale cammino s’intravede nella sua ‘realtà spirituale’: “…L’unica voce / che unisce ogni elemento / è il momento dell’arte, / è il sesto senso / che l’anima / possiede. / È nell’anima / la stessa geometria / molecolare” (La geometria che attorno si distende). Una facoltà – il sesto senso – invisibile: invisibile, ma concreta, non vi è alcuna contraddizione, perché produce elementi tangibili! Ogni poeta profondo lo sa. Ed infatti nell’articolo del Corriere della Sera citato in apertura, lo stesso Montale dichiarava: “Io sono un amico dell’invisibile!”. Inoltre il poeta ligure sosteneva che la poesia tende a far intuire quel quid in più che le sole parole non riescono ad esprimere. E Pardini cosa fa? Ascoltiamolo: “Ho pescato con la rete dell’anima / rumori nell’oceano del blu stellare. / Non sono affogati, / li ho mantenuti in vita / nel vivaio della poesia” (Ho pescato con la rete dell’anima). Con linguaggio analogico ci dice come le sensazioni dell’anima, invisibili, diventano poesia attraverso immagini che vanno oltre la parola. Lo stesso processo avviene in altra lirica, quando è certo dell’esistenza del soprannaturale ascoltando la musica di Puccini. L’anima non è dunque per il poeta un concetto filosofico astratto, definito attraverso speculazioni teologiche o teoretiche, ma un’energia vitale capace di penetrare in ogni dimensione dell’universo e dell’esistenza, quindi anche nella natura e nel sentimento. È una facoltà della personalità che potrebbe stare tra la voce interiore del fanciullino pascoliano e gli stimoli dell’elan vital bergsoniano. Nella sua visione la natura non ha fine, possiede una vita immortale, è un eterno divenire: si rinnovano sempre le stagioni, i colori, le fioriture, i canti e il suo giorno non muore; essa possiede un’armonia che lega insieme tutti gli elementi. Le immagini sono quelle della sua terra: il colle, il bosco, il rustico, il cipresso solitario, il callare (viottolo di campagna), il mare, il molo, il maestrale… Il canto d’amore ha qui brevi pennellate liriche; dipingono il sogno di un’isola fatata, le fantasie di storie giovanili da inventare con l’amata: “… E col sorriso l’isola accoglieva / solo utopie forgiate per amare” (Stai qui con me); dipingono l’immancabile connubio fra amore e luna: questa comanda il mare, quello il cuore; dipingono ancora il suo potere anche nei confronti della morte: “Pare un’inezia / il peso della fine / se guardo gli occhi tuoi su me posati…” (Pare un’inezia). Per una più approfondita conoscenza della poesia amorosa di Pardini rimandiamo al suo libro I dintorni dell’amore ricordando Catullo (2019), con prefazione di Rossella Cerniglia, la quale sottolinea “una concezione dell’amore fortemente idealizzata”. Nel frattempo viviamo presenta una seconda parte a cui l’autore ha dato come titolo: Dal serio al faceto. Dal sacro al profano. Egli dice delle liriche di questa raccolta: “Tante portano come titolo Il fatto… Per me è una silloge un po’ diversa dal mio stile: poesie brevi, apodittiche, attuali, e soprattutto motivate da fatti concreti”. Oltre a questo genere vi troviamo anche composizioni che assomigliano a massime, aforismi, detti, proverbi con strofe e rime libere in sciolti versi armonici e sonori: non ci è dato sapere se d’invenzione del poeta o se anche ispirate alla tradizione popolare. Fatto sta che sono veramente facezie godibili che portano al sorriso, oltre che alla riflessione o ad una morale sottesa, come spesso succede per questo tipo di scrittura. Letterariamente esse sono, a mio avviso, collocabili in quel filone burlesco toscano di lunga data, che va da Cecco Angiolieri al Giusti, variamente definito dalla storiografia come ‘realismo comico-sarcastico’ o ‘scherzo satirico’: tutto ciò rientra pienamente anche nel temperamento di Pardini, sempre duale – come lui stesso ha scritto – tra serio e faceto, fra sacro e profano; ed io aggiungerei tra intellettuale e concreto, spirituale e materiale, ideale e possibile. Tra i motivi più ricorrenti citiamo la vita, l’amore, la gioia, il destino, la speranza, il vino, la solitudine, la morte… ed un paio di esempi per carpirne il clima: “È come un lecca lecca, sai, la vita, / finito non ti resta che lo stecco, / non te ne fai di un becco, caro mio!, / gustala bene prima sia finita” (È come un lecca lecca). “La milza, la pancetta, la coratella, / la bazza, il calcagno e le budella / si lamentano in continuazione / perché messi in un cantone. / Per non parlare poi della chiappa e del rognone. / L’autore cita sempre nella poesia / cuore, occhi, bocca, crini, anima mia, / e in disparte lascia sempre la plebaglia. / Gridano adirati: «L’autore è una canaglia!»” (La milza, la pancetta, la coratella…). Nazario Pardini, un poeta infine che sa anche uscire da ambienti e modi accademici per andare incontro agli uomini e condividerne il destino, nel profondo dell’io, nelle relazioni con gli altri, nel mistero “del cammin di nostra vita”.
Prefazione