‘LA VITA DOCILE’ DI MAURIZIO CUCCHI

‘LA VITA DOCILE’ DI MAURIZIO CUCCHI

Due vite: Agnese è una ragazza rimasta orfana del padre e, per mantenere se stessa e il resto della famiglia, lavora come sarta. Pino è il rampollo di una ricca famiglia siciliana che si trova a Milano per studiare ingegneria al Politecnico. I due si incontrano e si innamorano. Vanno al cinema, a teatro, in giro per una città che fa da complice al loro amore  e che a un certo punto è sotto i bombardamenti. Nati nel 1893, fanno parte entrambi di quella generazione che ha dovuto vivere due guerre, in mezzo a difficoltà che non sembrano di per sé in grado di contrastare il loro amore. Hanno avuto anche una figlia, ma non è destino che restino insieme. Pino tornato dal fronte  sceglie la carriera militare, la famiglia gli impedisce di riconoscere la bambina e gli impone un matrimonio di convenienza. Agnese continuerà la sua vita di lavoro e di sacrifici, andando a vivere con la figlia in una casa di ringhiera. I due si vedranno via via sempre di meno, ciascuno dalla propria vita.

È la vicenda che Maurizio Cucchi ricostruisce un secolo dopo in La vita docile (Mondadori), partendo da alcune fotografie e da una sparuta corrispondenza tra i due protagonisti. Con un tocco leggero e profondamente partecipe, l’autore ci conduce dentro le esistenze di questi due giovani, ci coinvolge dentro quella fase iniziale nella quale i protagonisti si sentono invincibili, poi attraverso l’esperienza di eventi che cominciano a incrinare la saldezza di una vicinanza pensata come irrinunciabile e andata affievolendosi fino a cancellarsi. E la bravura di Cucchi è che nella sua ricostruzione fa rivivere i suoi due personaggi, così come i luoghi in cui si muovono, attraverso immagini ferme, nette, straordinariamente suggestive. La ragione fondamentale è che mette a disposizione del racconto la sua misura di poeta: una scrittura lieve ma di forte peso specifico, capace dentro l’ ordinario mondo quotidiano di far emergere tutto quello che lo trascende, restituendo a chi legge il senso vero e sconcertante della vita. Con la magia che già la copertina anticipa a chi prende in mano il libro, con quella sorridente immagine femminile di fronte alla  macchina da cucire. E la domanda che si mette in moto a conclusione della lettura è: che cosa sarebbe accaduto se non fossero stati divisi dalla vita? In ogni caso, appunto da poeta, l’autore immagina cosa avrebbe risposto Agnese al suo postumo interlocutore:

“Ho le caviglie troppo gonfie

ma non è questo, dolce amico gentile

che parlandomi ti trasfiguri e piangi.

Cammino verso l’impossibile e se il dolore

talvolta mi confonde credimi

non ho mancato la mia vita”.

Paolo Ruffilli

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