BELLO E VERO IN SONIA GIOVANNETTI

BELLO E VERO IN SONIA GIOVANNETTI

Dalla parte del tempo di Sonia Giovannetti (Genesi Editrice 2018) è un libro animato da “poesia e verità” nel senso goethiano dell’abbinamento, ché stare dalla parte del tempo è innanzitutto riconoscersi umani, precari e limitati per definizione. I perennemente assetati di bello e vero, tuttavia, sono i poeti – e il riferimento al celebre passaggio da L’idiota di Dostoevskij è armoniosamente inserito nel libro – e sulla natura e sull’anelito di chi cura la poesia, la nutre e se ne nutre, l’io lirico ritorna a più riprese. Stare dalla parte del tempo, tuttavia, significa nel tuo libro sia comprendere e accettare Chronossia cercare e saper intercettare Kairos. I tre capitoli che compongono la raccolta – Il tempo dell’ioIl tempo del noiIl tempo dei luoghi – ampliano lo spettro delle possibilità di ricerca. Si tratta di una ricerca che manifesta ri-conoscenza sotto forma di attenzione, talvolta perfino vero e proprio tributo – a stili, tecniche e metri della tradizione poetica italiana. Dal Novecento di Luzi – L’uomo del faro – si risale al sonetto petrarchesco, reso in più di una composizione, a partire dalla poesia iniziale e introduttiva, Il tempo, anche con rigorosa osservanza della rima, tanto da far pensare che l’intento di Sonia Giovannetti non sia, accanto al tributo di riconoscenza, anche quello di una garbata provocazione ai falsi iconoclasti e veri forzati della moda del momento. L’omaggio alla poesia-pane non può non passare per Shakespeare della Tempesta e per Omero dell’Odissea; è un omaggio schietto, vissuto, cantato. In alcune poesie l’amore per il bello e il vero trova “la” forma per eccellenza: queste sono, ai miei occhi, Aria leggeraIl tempo nascosto della vitaLa bellezzaQuiete apparenteLa tregua di NataleDalla parte del tempo. Un discorso a parte merita il canto ai luoghi, prevalente nella terza parte, Il tempo dei luoghi, e che tuttavia pervade tutta la raccolta. I luoghi sono paesaggi dell’anima, certamente; eppure essi non si limitano a raccogliere l’ondata di affettività, il carico di sentimenti dell’io lirico. La terra, le città, le piazze, gli angoli cantati di volta in volta assumono proprio la voce della poesia e, con essa, il compito additato da Antonia Pozzi nel 1933, in un passaggio riportato proprio in chiusura: «la poesia […] ha questo compito sublime di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare.»

Anna Maria Curci

Poetarumsilva

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