‘VALICHI’ DI GIOVANNI PARRINI
Della speranza si sa poco («otto lettera di fuoco e pena / spesso sporcate / pronunciate nel travolgimento / senza pesarle»), ma è linfa vitale, è «l’oro della spiga sulla terra scordata», prospettiva e respiro, cui fa da contraltare, quando viene ispirata o si realizza, lo stupore. Nel suo libro in versi, Valichi (Moretti e Vitali, Bergamo, 2015 – con postfazione di Giancarlo Pontiggia) Giovanni Parrini la racconta e ne avverte l’esistenza e l’esigenza, allorché, tornando su scenari consueti, o legati alla memoria di un momento importante, sente l’eco delle cose passate, il proprio nome riportato dal vento dei ricordi, che soffia attraverso quelli che sono i valichi esistenziali, e unisce il passato al presente. Il libro conferma la capacità delicata di questo poeta-ingegnere nel cogliere i passaggi che sottolineano la ricerca, o l’evidenza, della pienezza del vivere. Sessantuno sono i testi costituenti il libro – quarto lavoro di Parrini – tra i quali alcune prose poetiche e un sonetto, miranti a raccontare «quanto basta a sentire in questa poca esistenza l’infinto di un’altra». L’autore aveva già raggiunto una piena maturità espressiva nelle trentanove poesie raccolte in Nell’oltre delle cose, Novara 2011), composte sul tema degli affetti e del senso che sta prima e dopo la vita («il segreto che sat dentro le cose»; «il congegno universale»; «la regia eterna a tutte le regie»), che si concludeva con un omaggio efficace alla memoria paterna e alla constatazione di sé di fronte ai misteri del tempo, riflessione che ritorna anche in Valichi, come per esempio nel verso «quando ti chiedi dove porta mai la vita / e che cosa sia stata». Lo sguardo poi si allarga in modo personale e originale agli anziani, in due testi molto efficaci, che richiamano la forza della speranza a sollevare che è per così dire accantonato, ravvivando il senso del suo esserci con una visita, con una domanda, con la disponibilità ad ascoltare poche e incerte parole, con un piccolo gesto di affetto: «Tu li avrai visti i vecchi / quelli appena difesi da un vestito malmesso / con il carrello mezzo vuoto / che se li trasporta, scrive Parrini e poi, due pagine dopo, quando visita un istituto: «Qualcuno l’hanno messo su una sedia / altri stanno vicini / quasi fosse più facile insieme riattraversare le giogaie degli anni / volare oltre i corridoi lunghi / dove gli oggetti cercano anche loro un possesso, un’identità». Verso limpidi che fanno riflettere su quell’irresolubile mistero, su quell’eterno miracolo che l’animo umano rappresenta.