POETI STRANIERI: RICHARD BERENGARTEN TRADOTTO DA SILVIA PIO
Richard Berengarten (in precedenza conosciuto come Richard Burns) è nato a Londra nel 1943, da una famiglia di musicisti. Ha studiato letteratura inglese all’Università di Cambridge dove, influenzato dagli scritti di T. S. Eliot e Mario Praz, ha iniziato ad essere attratto dai numerosi modelli italiani che hanno costituito alcune delle fonti della letteratura inglese, a partire da Dante, Petrarca e Boccaccio e fino a tempi più recenti. Le poesie che presentiamo appartengono alla raccolta The Blue Butterfly, ispirata da una visita al museo di Šumarice, alla periferia della città di Kragujevac nella Serbia centrale, che ricorda un massacro perpetrato dai Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Quarantadue anni dopo, mentre il poeta sta aspettando in coda per entrare nel museo, una piccola farfalla blu si posa sull’indice della sua mano sinistra, quella con la quale scrive. (La notizia biobibliografica continua in coda alle poesie)
La farfalla blu
Sulla mia mano di ebreo, nata da ghetti e shtetl,
venuta su da tombe anonime della mia gente obliterata
in Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Russia,
sulla mia mano generata da figlia di rifugiati,
aperta la prima volta sotto le bombe di Londra, cresciuta
nel dopoguerra al riparo nella periferia inglese,
sulla mia rosea, educata, ironica mano sinistra
di parvenu pseudo gentleman non proprio britannico
che ha imparato a scarabocchiare senza maestri
tra militaristi che leggevano il latino e giocavano a rugby
in un collegio d’élite sulle verdi colline del Sussex
e contro le mura dei chiostri della puritana Cambridge,
sulla mia mano indebolita dall’anomia, sulla mia
mano che scrive, ora d’improvviso con volontà
stesa davanti a me nel sole primaverile della Serbia,
sulla mia mano unica e vivente, tremante e turbata
da questa visitazione di maggio, come una verginale
foglia appena spuntata sulla quercia più vecchia d’Europa,
sulla mia fiera mano salda, miracolosamente
benedetta dai duemila ottocento martiri
uomini, donne e bambini caduti a Kragujevac,
una farfalla blu è caduta così dal cielo
e si è fermata sull’indice della mia
internazionale, insanguinata mano umana.
Nada: speranza o nulla
Come un seme portato dal vento, non radicato ancora
o petalo da un impossibile fiore di luna, che luccica,
intonso, perfetto, in un chiaro cielo notturno,
come un arcobaleno senza pioggia, come l’invisibile
mano di un essere divino tesa dal nulla
a far piovere gioia dalla traboccante cornucopia,
come un saluto di bambino, non nato, non concepito,
come un angelo, che porta un dono, un anello, un voto
come una visitazione da un’anima redenta due volte,
come una muta canzone cantata dal fantasma di nessuno
a uno sconosciuto, dolce e melodioso strumento
sepolto da millenni nella profonda caverna dell’essere,
come una parola ascoltata solo a metà, a metà ricordata,
non ancora appresa, da una lingua di straniero, che un triste
cuore brama, per schiudere le sue intime cellule,
una farfalla blu prende la mia mano e scrive
con inchiostro invisibile sulla sua pagina d’aria
Nada, Elpidha, Nadezhda, Esperanza, Hoffnung.
Dire (primo tentativo)
In quel momento, non ricordo
ma divento memoria. Sono.
E prima? Prima – la bocca senza suono
di ombre quasi mute fu quel che ascoltavo
e l’intero campo della mia vista
un cunicolo scolpito e scavato attraverso la paura.
Ora le mie orecchie risvegliate e in allerta
ascoltano attente e vigili
involucri di voci percepite e accolte intere
da quelle bocche morte, che versano il loro testamento
su venti estivi, mossi dallo strumento
della farfalla che riposa sul mio dito, e luccica.
E vedo il mattino di maggio e il sole sparare fuoco
sulle colline, che ancora brillano verdi, intatte,
e quei bambini ammassati, li ascolto come un coro,
solo scolari, che vociano.
Nulla è macchiato o monco. Tutto vale.
La materia è miracolo. Il miracolo è realtà.
L’indice dell’infinita
biblioteca della natura e della storia
sembra riversarsi su di me e il fortuito
ritrovamento di chiavi sepolte, di riferimenti
dimenticati o citazioni scomparse
riempirmi la vista, come un dono, un mistero,
tutto sembra ordinario, eppure altro,
senza confini. Il mondo non va alla deriva
ma rimane uguale, né più né meno,
a sempre, ma si accorda ora a se stesso,
e il vedere e l’udire diventano udito e vista,
spirito dentro a spirale, dimora dentro al destino.
(Traduzione dall’inglese di Silvia Pio)
Internazionalista convinto, Richard Berengarten ha scritto più di venticinque libri. Tra gli altri: The Manager, Black Light, The Blue Butterfly, Manual, Notness e Imagems. Ha vissuto in Italia, Grecia, ex Yugoslavia e negli USA. Recentemente si è occupato di cultura cinese, specialmente riguardo al suo Changing (2016), che è un omaggio all’antico testo cinese Il Libro dei Mutamenti, e al più recente The Wine Cup (2019), dedicato al grande poeta taoista Tao Yun-Ming. Numerosi suoi scritti sono stati tradotti in italiano da Roberto Sanesi (Avebury, La Nuova Foglio, 1972), Giuseppe Napolitano (Imagems, La stanza del poeta, 2012), Mario e Federico Nicolao e altri (in Chorus), Claudia Azzola (in Traduzione-Tradizione), Paola Musa e Sara Russell, e da Silvia Pio (Black Light e Tree in Poesia, 2017, e molto di più in Margutte a partire dal 2014 http://www.margutte.com/?s=richard+berengarten).