CAMBIAMENTI DI STATO DI GIOVANNI SATO
L’intensa e corposa raccolta di liriche di Giovanni Sato, intitolata Cambiamenti di stato (Biblioteca dei Leoni), è un inno all’Amore, percepito dal poeta non solo come un sentimento che coinvolge sensi ed emotività ma anche come forza primordiale, mistica, che muove l’universo e favorisce trasformazioni spirituali e materiali nell’essere umano. Sato scrive, infatti: «raccolti in nuvole / saremo la pioggia dismessa del cielo / e le rapide del torrente / ci faranno rami d’albero / strappati dal vento» (p. 16), liberi, dunque, da vincoli fisici diventeremo la dimensione che “prende d’ogni cosa”. I ‘cambiamenti di stato’, secondo il poeta, si verificano nel corso del tempo e non sono mai semplici da affrontare, come afferma in questi versi: «Come fosse facile cambiare stato / e ritrovarsi d’improvviso nuovi» (p. 13). Lui, però, è pronto ad affrontare ogni metamorfosi, perché ciò che teme davvero è il niente, svanire dai pensieri di chi ama e rimanere solo. Mentre in alcuni testi esalta i radiosi, intensi, momenti affettivi e sensuali vissuti insieme alla persona amata – «Amo / l’avvolgente tocco della tua rosa / e il tuo bacio che tutto sfiora / dalla mente al cuore. // Al più profondo e intimo / del dare» (p. 31); «Io ti amo come si ama l’amore / e ti ho scritto tutti i versi del mondo, / ti ho percorsa lungo tutto il tuo corpo / fino al labbro dove ho posto il mio bacio» (p. 35) –, in altri descrive con immagini molto suggestive le trasformazioni che potranno subire entrambi col passare degli anni: «E onda dopo onda / segnando i nostri nomi nel cuore dei giorni, / aspettiamo / d’esser coperti dalle alghe e dagli immoti delle maree» (p. 50); «Cambiando stato / potremmo trovarci sulla riva / come nel giorno dei primi baci» (p. 55). Il senso del tempo è, quindi, molto vivo nei versi di questa raccolta. Il poeta è consapevole, infatti, che «il mondo delle cose», così come la vita dell’uomo, «inizia per poi finire» (p. 86), per questo bisogna affidarsi all’Amore con l’intento di cercare una dimensione che conduca oltre la fisicità, verso l’infinito, poiché anche se è raro trovarlo «qualche volta arriva / in quell’intenso amare, / limpido del dare» (p. 66). Ritiene, invece, che soltanto la poesia permetta di scrivere sul muro del tempo e di ottenere la continuità, si chiede però: «Dov’è / l’eterno foglio della luce, / dove poter scrivere / sogni di buio e tutte le parole / che in fondo nascono / e muoiono se non scritte. // Prima che svolino / via da tutti i cuori. // Dov’è quel foglio / eterno dove poter dare / scrivendo il verso / il senso al nostro andare. // Il foglio eterno / infinito / della luce» (p. 96), che non teme il logorio delle stagioni. Nelle composizioni di Giovanni Sato, ricche di pathos e mai superficiali, si avvicendano immagini trasfigurate poeticamente in metafore. Sono soprattutto immagini di elementi naturali, che spesso sconfinano nel surreale trasformandosi in emblemi del suo tendere verso un eterno altrove. Albe e tramonti, giorno e notte, luce e ombra, silenzio e parole, cielo e acqua, rose e alberi, fiori e foglie… diventano, inoltre, per il poeta anche simboli attraverso i quali comunicare il proprio sentire emotivo ed esistenziale o attraverso cui ricercare legami tra le cose del mondo e quelle divine: «Viviamo così l’autunno / come stagione interiore: / restando albero sentiamo l’origine, / il manto che la terra avvolge, / il crepitio / delle foglie ai piedi» (p. 157); «È questo / continuato bacio / estasi simile all’acqua, / superficie d’onda // dove sentire il noi / come una vela che sfiora // le illimitate corde del cuore» (p. 194); «Guarda amore, / nel lontano infinito / una barca/ sta percorrendo il cielo: / è così leggera e felice / la linea che l’acqua / divide dall’aria / che più differenza non c’è / fra i due stati / dello stesso cuore» (p. 221). Nel suo verseggiare, incisivo, fluido e limpido, Sato, si serve di dati dell’esperienza per imprimervi la sua visione onirica della realtà. Dà così risalto letterario a ciò che esiste in immagini liriche nelle quali distoglie lo sguardo da se stesso per cantare la vita, l’Amore (“spirito d’incommensurabile bellezza”) e risalire alle sorgenti dell’essere.