LA LINEA ALBA DI ANTONIO SANTORI

LA LINEA ALBA DI ANTONIO SANTORI

Volendo cercare ciò che unisce Antonio Santori alla tradizione italiana della poesia, al di là delle molteplici possibili tangenze occasionali, l’unico vero dato assoluto e dunque significativo è l’adesione a quella predominanza musicale che lega tra di loro a doppia mandata i poeti eredi del “filone operistico”, ultimo dei quali nella modernità Giorgio Caproni. Santori ha in comune con questi poeti intimamente melomani, “compositori” che usano le parole come note, non solo la dominante della musica quale traino esclusivo della parola poetica (il ritmo che detta legge a tutto il resto, di una sonorità insieme dissonante e squisita), ma anche la costruzione architettonica, cioè poematica, di un “insieme” che non è mai l’usuale ed occasionale raccolta che somma pezzi vari e sparsi. La chiave di lettura della poesia di Santori è la continuità nella distensione. E non a caso il poema per quadri successivi è la misura preferita, prima in Saltata e poi in La linea alba, in modo ancora più esemplare. La compattezza di “libro” (di ogni “libro” di Santori, che dunque non è mai, come si diceva, una semplice raccolta di poesie, ma un’opera vera e propria) è il percorso di una voce del profondo abissale che insegue, mentre la vive con intensità, una definizione della vita, in La linea alba alle sue stesse origini in un rispecchiamento dinamico (di sostanza e di pensiero) pre- e post-natale dentro l’utero materno (quello particolare e individuale di una donna e, insieme, quello dal valore universale di categoria dell’umanità). È un fall out che sgorga oltre la traccia bruna della linea alba a fornire le parole che, legandosi in un discorso, danno forma alla voce. E tale voce, interiore proprio perché sale su direttamente dalle interiora, insegue la definizione di quella vita che in mille rivoli e frammenti continuamente scivola via, scorre lasciandoci orfani, inafferrabile eppure tenuta, provata e riprodotta, perfino poi goduta sia pure in modo discontinuo nella trafila di qualche attimo appena. La storia di questi attimi, riconsiderati a metà tra la memoria e la loro consistenza di realtà: ecco la caratteristica della poesia di Santori. Qualcosa di molto particolare e originale e suo tratto personale inconfondibile: l’oggetto che, nel flusso mentale, vive anche per una sua interna consistenza, per una sua fisicità che vince il tempo e il moto e travalica le frontiere dell’astrazione del pensiero. Una poesia insieme della cosa e del suo simbolo, che canta epicamente questo viaggio di un uomo (di ogni uomo) al termine della notte della vita, in La linea alba. L’ingresso del fisiologico, lo definirei. Quel fisiologico che si fa ossatura del filo mentale, riconquistando appunto il simbolo alla sua consistenza fisica, materica. In una poesia che gonfia e palpita di un’ansia della vita, a cui tentano di opporre margini di distacco e di presa di distanza i  paradigmi simbolici del pensiero. Quei concetti, idee, principi e criteri che ci riportano all’anima insieme illuministica e passionale di Santori e che stanno ad indicare il laboratorio continuo, vulcanico, che è la sua personalità. Dentro quel gioco di testa e di cuore che riesce a far “cantare” (nel pieno senso musicale, oltre che specificamente lirico), dentro la storia d’amore di un uomo e di una donna, il mistero della fisiologia dell’interiorità.

Paolo Ruffilli

Prefazione

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