RICORDO DI ARNALDO EDERLE
Con Arnaldo Ederle ci siamo conosciuti attraverso un amico comune, circa 50 anni fa, il poeta veronese Giuseppe Piccoli, tragicamente scomparso. Dopo questo evento Ederle fu la persona che più si impegnò a divulgarne la poesia, con quell’atteggiamento di disinteressato e costante sostegno che ebbe per tutto il corso della sua vita verso gli altri poeti e scrittori, me compreso, soprattutto attraverso le frequenti recensioni che scrisse sul giornale L’Arena. Così era Arnaldo. Fra i veronesi fu uno dei pochi che frequentò l’ambiente milanese della cultura, staccandosi dal provincialismo della nostra città. Giovanni Raboni e Maurizio Cucchi furono tra i suoi principali referenti. Ma al di là dei suoi meriti personali la sua poesia rimarrà nella storia della nostra letteratura per quella vitalità gioiosa che sempre l’ha contraddistinta, specchio del temperamento del suo autore, che dal Dolce Stil Novo e dai giullari provenzali ereditò una propensione al canto che veniva valorizzato dalla passione per la musica, compagna di tutta la sua vita. Assieme al pittore spagnolo Chicano, per tanti anni residente a Verona, Arnaldo poté coltivare l’innata passione verso il Flamenco, un clima musicale che lo avvicinò alla grande poesia spagnola del Novecento, da Garcia Lorca ad Antonio Machado di cui è stato traduttore. Ma accanto a questa personalità conviveva in lui, insegnante di lingua inglese, un aspetto riflessivo e introspettivo che lo sensibilizzò alle tematiche di Thomas Eliot e di altri importanti autori anglo-americani. In ogni caso la poesia di Arnaldo fluiva sempre fresca e spontanea come da una inesauribile sorgente, anche negli anni della vecchiaia, in cui sembrò che una nuova giovinezza riempisse la sua vita, colorando delle tinte accese dell’autunno quegli ultimi poemetti che andava componendo in modo quasi compulsivo. Come suo padre ebanista, intagliatore del legno, anche Arnaldo Ederle sapeva incidere sulla parola, nella cornice di strutture poetiche sapientemente orchestrate sulle più antiche forme della tradizione letteraria. A me piace ricordarlo come lo vedevo comparire dal marciapiede quando ci trovavamo al bar dai cinesi, nel nostro quartiere, all’estate, col bianco cappello Panama dalle larghe falde e l’elegante completo in tinta. Al sorriso luminoso accompagnava sempre uno sguardo attento, perché egli amava tutto del suo quartiere, dalle persone ai luoghi, vuoi la poesia del lungo canale che lo delimita, vuoi la presenza delle persone più umili che per lui erano sempre un simbolo di qualche cosa, dal povero dimenticato da tutti, alla anonima casalinga che porta il peso del quotidiano. E in ogni aspetto della vita Arnaldo cercava la bellezza, quella che da ultimo cantava nella poesia con nostalgia, perché egli ne soffriva la mancanza in una società sempre più incline al materialismo; e mai e poi mai, anche negli anni della decadenza fisica, avrebbe rinunciato ad esaltare la bellezza della donna, che egli aveva sempre inseguito come un mito. Infine egli amava accompagnare le riflessioni della giornata con la preghiera, proiettando il pensiero oltre la realtà materiale, un aspetto questo che era stato una costante della sua poesia. Adesso che non lo vedrò più comparire dal marciapiede col suo passo lento e attento mi sembra che il nostro quartiere sia diventato improvvisamente vuoto, che si sia impoverito. …