LUCINI DECADENTE E SCAPIGLIATO
Gian Pietro Lucini è stato un poeta ribelle, animato da intenti rivoluzionari, insofferente all’ipocrisia e al perbenismo di facciata. Una sorta di anarchico-democratico si potrebbe dire, i cui versi trasudano sentimenti di vendicazione. Ma dietro l’outrance verbale di Lucini si percepisce un piglio sarcastico, un’ironia seria, amara, dolorosa. Dietro le sue parole composite e volgari si cela un’anima che pena, un cervello ardito, un cuore ferito che può sembrate crudele. Tutta questa umanità attrasse non solo i futuristi pirotecnici ma anche dei giovani. Difatti Lucini fu invitato a scrivere su Quartiere latino, rivista che ebbe pochi numeri ma con un Lucini sempre in prima fila, lui che pure ha dato al primo futurismo, con il suo Verso Libero, probabilmente l’unico apporto teorico serio per giustificare il verso libero, servendosi di una conoscenza diretta e vastissima delle scuole poetiche francesi del Parnasse in poi, attraverso simbolismo e le correnti minori, Lucini non ha mai risparmiato ai suoi vecchi amici futuristi stoccate polemiche e prese in giro. Il poeta infatti non amava D’Annunzio, il borghese. La poesia si Lucini raramente coglie momenti sereni, raggiungendo forse per caso uno stato poetico veramente limpido e liberato; il suo descrivere è minuzioso e insistito, dietro certe sue figure e aspetti di vita cittadina notturna, tra “cocotte” e rifiuti sociali, si sente il tono svagato, dolente e nevrotico della Scapigliatura. Quando la prosa di Lucini si pulisce, lascia qualcosa di avido e granuloso sebbene l’uomo in lui non è mai assente, anche quando la letteratura lo porta verso un gusto di rifiniture alessandrine. Certamente Lucini è un decadente, senza l’acuta coscienza critica verso l’opera propria dei veri decadenti. Ma è un decadente sui generis, con ideali sociali, politici, umani, che i decadenti non ebbero. Lucini ha sempre pensato la letteratura come forza etica e, sebbene la sua etica fosse tutt’altro che serena di fronte alle passioni e alla storia, difatti, invece di dominare tali forze, il poeta si lasciava piuttosto dominare, ciò che in lui resta ancora vivo è una sorta di dolorosa energia, una vitalità sdegnosa che ricorda in lui ancora l’uomo del Risorgimento, quell’uomo che, se non aveva vissuto l’epoca di Cattaneo o di Nievo, pur nel sarcasmo frequente e nell’improvviso risentimento, recava in se ancora qualcosa di essa. Da punto vista poetico l’arte di Lucini ha segnato una crisi e un passaggio: dalla scapigliatura alla poesia moderna, fuori da ogni schema di scuola. Più vicino a Dossi, Lucini ebbe curiosità ed esperienze più acute e larghe del suo maestro. Le Grazie, che tanto sorrisero a Foscolo, con greca purezza, consentendogli di decantare la sua stessa sensualità in un clima d’eliso, per Lucini furono matrigne; e, anche se lui se le figurò nel Carme di angoscia e di speranza, a lato le vide “floscie, percosse, disfatte”.