VOCAZIONE E ISPIRAZIONE IN VITTORIO COZZOLI
Avendo coscienza del dono ricevuto e dell’ispirazione di cui riconosco la voce e i segni, non ho mai ritenuto importante avere una poetica, seguirne i dettami e le intenzioni. C’è qualcosa di più importante nel mistero dell’arte e in quello specifico della poesia. I più recenti libri di poesia da me pubblicati, La diaspora delle icone e Dunque, l’Arte che vuole? (Biblioteca dei Leoni) hanno voluto esprimere l’unicità e la coerenza del mio viaggio creativo, a fondamento del quale sta una forte vocazione. Vocazione e ispirazione: termini, questi, che ai più appaiono desueti, incredibili, inaffidabili, inesistenti nella loro realtà, anzi, per alcuni risibili o troppo ingenui se non incoscientemente superbi. Non è così per me. Riconosco ogni volta, a cose scritte, che l’ispirazione ne sapeva più di me e più di quanto le ideologie poetiche avrebbero potuto suggerirmi, imponendosi ad essa. Non sono le mode o le retoriche da laboratorio a tentarmi più del dovuto. Altro è il rapporto con le urgenze storiche. Niente di retro nel mio scrivere in un presente e per un presente così drammatico (anche spiritualmente) come il nostro. Sento inscindibilmente uniti il presente cronologico e quello spirituale: entrambi storici, non è possibile privare l’uno dell’altro. Questa unione rende una e piena la realtà, come Dante mi ha insegnato, senza fare del dualismo, peggio ancora se gnostico. Dunque, una la realtà: visibile e invisibile, temporale ed eterna, umana e divina, naturale e soprannaturale. E’ su questo fondamento, per nulla medievale ma perenne, che si muove, cresce, va a concreto compimento la mia poesia. Perciò sento la responsabilità verso la domanda di fondo alla quale ogni artista deve rispondere: “Dunque, l’Arte che vuole?”. La risposta – dico questo augurandomi che non valga solo per me – è una resistenza e un’opposizione a tutto ciò che de-forma invece di ri-dare forma, che fa diventare vecchia e la solita, invece di ri-novarla, la parola poetica; verso ciò che imprigiona invece di liberare, verso il pieno piuttosto che verso il vuoto e il nulla; verso il significato piuttosto che verso l’insignificanza; verso il credere piuttosto che verso una scettica professione di ironia. Al de- (de-costruire, de-viare, ) preferisco il ri- (ri-costruire, ri-trovare). C’è qualcosa di più importante delle emozioni da ritrovare, di più importante del gioco linguistico e delle ideologiche dipendenze; e questo è ri-umanizzare la parola della poesia. In questo senso è per me importante ri-annodare il presente ad un passato sapienziale, ad una sostanza di verità che vale per ogni tempo. Purtroppo si è cercato di tagliare queste radici, col rischio di far morire la pianta, anche quella della poesia. Da qui, pur col rischio di essere tacciato di citazionismo, il fare presenti questi segni sapienziali nei miei versi.