‘ANDARE PER SALTI’ DI ANNAMARIA FERRAMOSCA

‘ANDARE PER SALTI’ DI ANNAMARIA FERRAMOSCA

Verrà pubblicato tra pochissimi giorni dalla Casa Editrice Arcipelago Itaca di Osimo (An) il nuovo libro di poesia di Annamaria Ferramosca Andare per salti e abbiamo avuto la gioia e il privilegio di leggerlo in anteprima. Ecco: attraverseremo un’opera estremamente coerente con il percorso dell’autrice romano-salentina, ma nella quale, nello stesso tempo, viene accentuata quella caratteristica “danza” della lingua e della scrittura di Annamaria che dice la gioia di esistere e di scrivere, pur entro la piena consapevolezza degli orrori della storia e di contro all’emergere del pensiero della morte individuale. La dedicataria di tutto il libro è una bimba molto cara all’autrice, Nicole, e non lo si trascuri, dal momento che, se il pensiero della morte ritorna ora più insistente che in precedenza, esso sembra provocare uno slancio ancora più forte ed entusiasta nei confronti della vita, un assenso nei confronti di quest’ultima che si esplica anche in uno stile ancora più luminoso, inventivo e spumeggiante, e, in ogni caso, contraddistinto dalle invenzioni lessicali tipiche della poetessa (per esempio in questo libro i temini polifusi: “giunglamercato” o “trenosfera”) e da un’espressione sempre chiara e incisiva; non si dimentichi che Annamaria è autrice di un libro che, per mio personalissimo convincimento, è un capolavoro e che si chiama Curve di livello (Marsilio, 2006), cui è seguito il complesso e impegnativo Ciclica (La Vita felice2014), che la poetessa ha realizzato quale suo libro più recente un gioiello d’equilibrio formale e concettuale che si chiama Trittici (dotcom Press, 2016) e che, più indietro nel tempo, la raccolta dal titolo bilingue (Porte / DoorsEdizioni del Leone, 2002) diceva già di soglie e di una volontà ferma di attraversamento e di comunicazione, di accoglienza: e, ora, ecco un’opera che mostra intatta la capacità creativa, la voglia e la gioia di scrivere, lo slancio verso il futuro inteso come passaggio del testimone dalla generazione di Annamaria a quella della bimba Nicole. È come se l’intatta, anzi meglio, accresciuta energia creativa volesse trasmettersi a colei che è da poco sbocciata al mondo, continuando quell’idea fondante e fondamentale nei libri di Annamaria che è il curare, l’avere cura, il prendersi cura – e questo è il significato, insieme con un nobile senso della pietas di virgiliana ascendenza, delle composizioni che, nel libro, sono dedicate alla memoria di Giulio Regeni, agli Italiani che hanno subito il terremoto nell’Italia centrale, agli amici morti (Gianmario Lucini, Assunta Finiguerra, tra gli altri, rapiti da colei che ha “ capigliatura di medusa”). Trascelgo ora alcuni testi e mi sembra inutile dire che si tratta di una scelta personale e anche dolorosa, visto che restano escluse numerose altre composizioni altrettanto efficaci, ma spero che proprio questo possa convincere tanti e tanti lettori a comperare il libro.

ora che mostro viso e braccia aperte      s’accendono i corpi le voci / più libero il pianto più intense le carezze / apro armadi nel petto e / vado per salti / dimentico zaino zavorra / virgole punti de-finizioni / tanto so che l’altrove / mi tiene d’occhio e /      dorme la mia bambina delle meraviglie / ancora irrubata dal mondo / intatta nel suo pianeta / cosa devo farci io con questo spudorato pianeta /  cosa devo farci con il terribile che infuria / con le solite frasi il solito sgomento / con quella spes ultima illusione / cosa devo farci pure con la poesia /     tanto so che la nave / sta trascinando al largo / nel muto acquario dove ci ritroviamo / come all’origine   nudi / finalmente originali   miseramente splendidi nel nulla        (pag. 23).

Scrive l’autrice nella nota finale: “L’andare per salti è il mio mai fermarmi, il voler cercare sempre nuove scene, nuovi luoghi dove rinascere, nuove epifanie. La stasi è il mio buio, la mia asfissia.
Così questo andare sempre libero, a volte dissacrante, a volte nostalgico, sempre disarticolato, perfino illogico – per salti, appunto, che si rivelano pure tumulti del sentire – è la spinta che guida l’immaginario lungo gl’inaspettati incontri del quotidiano, mai previsti, mai preordinati, e vorrebbe invadere pure spazi inaccessibili, ritornare sui territori del mito, del sogno, anche su quelli della inevitabile ultima soglia. Perfino le soste sono imprevedibili e disconnesse, ma forse hanno fili sottili che le uniscono, nelle riflessioni che seguono le scene della nostra deriva, della disumanità cui siamo giunti. E la voce squillante della luminosa bimba Nicole è il suono invincibile dell’istinto vitale, che tenta di superare le ombre pessimiste sul possibile tramonto dell’homo divenuto  insipiens. Mentre mai si arresta quella forza misteriosa della mano che, fiera d’essere sempre libera, continua a far colare segni sulla carta”.

Spiegato così il titolo della raccolta, rivelati i temi conduttori della stessa, mi preme anticipare che l’attraversamento del libro dona l’impressione di una spontaneità e di una freschezza espressiva che sono risultanze di due forze creative che agiscono in sincronia: la piena maturità di scrittura che permette all’autrice risultati di convincente immediatezza e un accurato, so bene impietoso labor limae che sa rimanere celato e regalare questa medesima impressione d’immediatezza – ma ad analizzare a sangue freddo i testi, si nota l’accuratezza nella scelta lessicale e nell’architettura espressiva, la sapiente graduazione dei toni e degli accenti, l’esperto governo degli a capo. Andare per salti si snoda quale andanza per pensieri, riflessioni, luoghi, fatti, persone e addirittura potrebbe profilarsi come l’attuazione in forma di libro del gioco detto “della campana” (già a pagina 31 Annamaria scrive: “e le biglie lucenti e la campana / – rintocchi le nostre grida – / con le sue linee diritte incise in terra / (complice era la terra nel lasciarsi ferire)” riferendosi, appunto, a quel giuoco), bellissima metafora del vivere e dello scrivere già impiegata da Cortázar per quel libro-mondo che è Rayuela e che esprime la gioia serissima dei giuochi infantili, il muoversi della mente e del corpo nelle “caselle” del mondo e del pensiero, il tracciare col gesso-scrittura o col bastoncino-scrittura linee da varcare, delineando con i propri salti sempre nuove direzioni di movimento o raggruppamenti di caselle nelle quali il piede (la mente) entrano. E in qualche modo l’allineamento tipografico al centro della pagina del testo che segue, rispetto all’allineamento canonico degli altri lungo il margine sinistro, potrebbe richiamare il gioco della campana – in ogni sezione del libro (che è tripartito: Per salti, Per tumulti, Per spazi inaccessibili) c’è un solo testo allineato al centro e si tratta sempre di composizioni nodali perché contengono l’esplicitazione dell’idea sottesa a ogni singola parte dell’opera: raccontarti      della distesa muta che circonda / nessuna vibrazione / trascorsi millenni dal diluvio / solo rovine  / no messaggi no mails / a chiedermi perché sola e risparmiata / conservata per quale nuovo mondo / quale senso      poi dirti della vestizione / per il viaggio che smuove le pianure / oltre ogni confine / e il fiume largo il fiume / e del risveglio e del segno ancora / che mi scrive m’inarca / ancora linfa a corrermi nei fianchi / richiami che tornano a squillare / quaderno a registrare      (pag. 25).

Accade che vita e scrittura, “linfa” del vivere e “linfa” del dire in poesia si mescolino, come a ripetere il sistema della “piccola” e della “grande” circolazione presente nel nostro corpo, che le pagine del libro, percorse dalla memoria della Shoah o ripercorrenti strade e linee della metropolitana di una città non sempre accogliente, ma che, nello stesso tempo, favorisce gli incontri, siano animate, appunto, da un movimento continuo del corpo e del pensiero. La bambina Nicole, “ancora irrubata dal mondo” com’era splendidamente detto due testi poco più sopra, illumina la composizione che segue e il mattino stesso, stabilisce, in un significativo e solo all’apparenza paradossale rovesciamento (“io tua piccola alunna tu maestra”), la differenza tra la poetessa che già conosce il male del mondo e della storia e la bimba, il cui futuro le sta ancora tutto davanti – e qui il salto è quello, necessario e naturale, tra generazioni: a Nicole del mattino   bello vederti bere l’aria / mentre salti sul mondo / s’accendono le arance / ti svegliano ti svelano /una terra d’incanti di festa / senza ombre né memoria/ ammutolisco sulle frasi che lanci / verso la mia disfatta geometria / mi indichi il segno del silenzio / io tua piccola alunna tu maestra /mi metti seduta   spossessata di storia / sotto l’arco del tuo tempo abbagliante/   vedo con le pupille lunari dei gatti / torcersi i meridiani unirsi i continenti / sotto i tuoi passi di conchiglia / brillano nel tuo mare
isole che non raggiungo     (pag. 29).

Rammento che sono numerose e indimenticabili le figure femminili nell’opera di Annamaria (le donne etrusche, Eva, l’adolescente Erica, Saffo, la donna incinta osservata su di una spiaggia sarda, le grandi Madri di Malta…) cui qui si aggiunge Nicole, forse la più piccola per età, la depositaria della speranza e della gioia, colei (e questo è un altro, commovente motivo di gioia e trepidazione) cui si potrà raccontare, tra breve, le storie che da millenni permeano la nostra civiltà: a Nicole della sera     quando potrò mai raccontarti di Nausicaa / la palla sfuggita sulla riva / il dio naufrago bianco di sale / quell’incontrodestino/     quando potrò mai raccontarti di Arianna / del suo filo d’amore e di Penelope / chinapaziente sulla tela / consegnarti l’antico orgoglio di donna / l’arte di piccole cose millenarie / fatte con le mani…in pace per la pace /     quando potrò mai raccontarti dei miei / vecchi giochi   cinque piccoli sassi / fatti volare veloci tra le dita /  e le biglie lucenti e la campana / – rintocchi le nostre grida – / con le sue linee diritte incise in terra / (complice era la terra nel lasciarsi ferire)/      quando potrò mai improvvisare / per te un piccolo teatro / come in quei pomeriggi d’estate / – le vesti rubate ai grandi e un lenzuolo per sipario – / sentirci maghe fate regine / presaghe di ore favolose/ (altro tempo a noi sarebbe venuto / grave di luci e d’ombre)      (pag. 31).

Non è un caso, allora, che in un’altra composizione Annamaria “risponda” a Saffo per frammenti, né che, in un’altra ancora, Etilità (già protagonista di una memorabile lirica di Curve di livello nella quale l’atto del bere, gioioso e vitale, era esplicitamente opposto all’atto, mortale e violento, del versare il sangue) sia immagine concreta dell’opporsi a tutto l’orrore e l’errore della storia a noi coeva e che l’ebbrezza venga a essere un altro aspetto della danza, mediterraneamente associate e correlativi oggettivi del poetare. Né è un caso che pure in Andare per salti ritornino il Salento, la storia e la cultura dei suoi popoli – e, appunto, la danza: anche questa serie di leitmotiv è rintracciabile in taràn (parola messapica che significa “moto circolare” riferendosi a una danza che mette in scena simbolicamente il mito del labirinto quale ricerca del sé – Other Circles, Other Signs, Chelsea Editions, 2009 è titolo dell’antologia in lingua inglese di testi di Annamaria, oltre la già citata Ciclica, ovviamente) e che dà il titolo a una composizione, lo si osservi, allineata al centro della pagina e che apre la seconda sezione, Per tumulti:  taràn      tu non lo sai ma questa tua danzaturbine / ha parole paradossali d’invito ‘nturcinate / entra – mi stai dicendo – nel labirinto / ti lego il filo al polso   sarà / luce sui meandri   dal tetto aperto / t’investiranno vortici di cielo e / lu focu de artetica ti mostrerà / raggiante di geometria /     tu non lo sai ma nel seguire ipnotico / lu caminatu tou nel tempo retrocedo / fino al caos delle origini   non ho forma / mi vedo grumo felice di energia distratta / da costellazioni vaganti senza nome / l’approdo sarà altro labirinto ancora / ancora altri corpi danzanti / altra inquietudine      (pag. 39)

Sempre Annamaria Ferramosca ha fatto emergere sulla sua pagina il mito, cosicché il presente (linguisticamente rappresentato anche da termini dell’informatica, per esempio) ha assunto una profondità talvolta vertiginosa che raggiunge le culture pregreche e preindoeuropee, seguendo le suggestioni derivate dalla lettura di Marija Gimbutas, tra l’altro, e dando vita a testi come quello appena letto, nel quale i termini dal dialetto salentino, il mito del labirinto e il rito della danza sacra continuano a rappresentare il profondo della nostra civiltà, profondo che retrocede fino ai grumi originari d’energia, in una danza che sembra diventare lucreziano associarsi e dissociarsi degli atomi, geometria di passi la cui contemplazione capace di fare entrare in trance riconduce la mente al caos primordiale, ma il motus perpetuus ha nome d’inquietudine, esso ed essa sono i “salti” che caratterizzano la materia, “lu caminatu tou” (refrain, tra l’altro, di un bellissimo canto popolare salentino), cioè i passi danzanti, è atto di bellezza e di conoscenza e il labirinto significa “energia distratta” (il clinamen lucreziano, appunto), cioè deviata dal suo corso per dar forma a nuove aggregazioni. E c’è gioia e gioiosità in Andare per salti, fino alle “onde-salento” e agli ultimi, perfetti quattro versi della composizione che propongo qui di seguito alla lettura:

dal monte al mare concordi le soluzioni della natura sull’amore      lungo i fianchi del monte il silenzio / scuote appena la notte  / in alto prendono consistenza / i fili invisibili che tengono fisse le stelle /     questa concavità di valico ristora / il mio respiro in corsa / l’erba mi attraversa smagliante / mi fa scivolare a valle con l’entusiasmo / potente di valanga   ti raggiungo /     il tetto della tua casa ha canali d’aria / vi passano suoni del tempo trascorso nelle stanze / ma appena entro il rimpianto ammutolisce / sa che posso scaldarti già guardandoti /     ti performo la scena d’amore / le onde-salento che lampeggiano / il soffio greco del timo sullo scoglio / la carezza del tufo   ecco / abbiamo già i piedi nella corrente      (pag. 41).

Ma il presente è anche un libro che celebra l’amicizia tra poeti, quel raro (ma esiste, assicuro, esiste) leggersi reciprocamente con ammirazione e affetto – ecco che cosa scrive Annamaria:  amico poeta ti leggo     attra-verso le tue stanze / riconosco il tuo esatto disordine   le impronte / l’odore e come lasci aperte le finestre / all’ansimo del mondo /     vedo la luce che di notte / ti trema sulla fronte / in sonno le pupille tornare inquiete sui versi / un andare alla cieca cercando appigli / un lampeggiare segreto di visioni /      mio compagno di stranitudine / granitico di dubbi / fragile all’improvviso e / folle di fughe (dall’oltre ti seducono / il vuoto abbacinante la grande quiete)/      di tra-verso inquieta ti sogguardo / ci teniamo per mano sull’abisso e / provo a trasmetterti un extra di fiducia / enumerandoti / tutti i mari ancora da navigare / tutte le atlantidi ancora da far emergere     (pag. 47).

Una preoccupazione che la poetessa sente è il perdersi della comunicazione e della volontà di comunicare, quel cessare di cercarsi tra esseri umani (l’homo è, di volta in volta, mediaticus, tecnologicus, telephonicus, auriculatus, multimediaticus, ma anche insipiens, inquinans, trivellans) – praticare la scrittura è opporsi all’autistico isolamento di chi s’immerge nel proprio apparecchio cellulare, in quest’apparente aumento dei contatti tra le persone, ma che, in realtà, annulla l’incontro reale, impoverendo la mente e accentuando la solitudine; e poi c’è (lo abbiamo già visto) un’idea di continuità tra le generazioni (in tal senso una passeggiata sull’Appia antica può trasformarsi in una “inversione” che consente d’incontrare, al di là del tempo, “ombre” del passato in compagnia delle quali con-versare e riflettere), e anche un’idea che gli anziani custodiscano una saggezza che i più giovani devono conoscere e accogliere:   posto di pietra     cerca – ad esempio – il profilo di un vecchio / seduto sulla pietra al sole  siediti accanto / inizia con un’inezia parlagli di vigne o di mare / accogli la sua lingua spezzata che trasforma / la piazza in fantastico teatro / di strampalati racconti / fanne ricordi fermi per l’inverno / vento caldo di favole ai tuoi figli /      ritorna a fargli visita / ogni volta prima di partire / il suo posto di pietra così simile / al tuo vecchio banco a scuola / erano voli di parole-rondini /a lasciarti sigilli sulla fronte / nel becco rami che rifondano paesi / dove i profili tutti si somigliano / a mezzogiorno passarvi il pane / insieme tornare a casa / come stringendo al petto il mondo / prima della prossima tempesta     (pagg. 59 e 60): attraverso tali parole s’illumina l’intera poetica di Annamaria Ferramosca, fedele di libro in libro all’idea di una profondità temporale nutriente e fondante, quando la sapienza (chi usa più questa meravigliosa e meravigliante parola?) sta anche nella mente e tra le mani degli anziani, una sapienza (così come quella appresa sui banchi di scuola) umana e nutriente. E Andare per salti traccia pure un bilancio esistenziale esercitando uno sguardo fermo e consapevole sul presente: la ferocia dei muri     dunque cosa è stato fin qui questo mio vivere? / forse soltanto un foglio bianco di vertigine / con lievi tracce di nero di sillabe / oggi queste imperfette pagine darei / ultimi panni dello snudarmi /a quanti non ho saputo accogliere / (in quanti amici non ho riconosciuto / tracce d’amore già nel nome)/      tanto sprovveduto è stato l’attraversare / il rombo delle strade senza avvertire / i passi accanto…gli urti gentili / tanto distratto il camminare / nella nebbia dell’inquietudine / senza vedere appigli braccia tese / solo la ferocia dei muri/      degli altri conosco davvero poco / solo un brusio dal mare di smartphone / più nessuno sguardo che mi parli / senza bisogno di parole / so che hanno il pianto in gola e sporadici / sussulti automatici / semiviviamo sotto cieli sbarrati /      non resta che svegliarci dal grande sonno / insieme vigili a custodire / la forma semplice del pane   a fare / la terra chiara di gratitudine/      insieme   per quel bagliore all’orizzonte      (pag. 66).

Va a concludersi il libro, ed è un altro passo di danza, un altro vertiginoso andar per salti: tu che solo-con-le-parole     entriamo nel giardino senza recinti senza cancelli / nella navata senza velarci il capo / non sovrastano altari né piedistalli / d’improvviso   non hanno senso /      resta la nostra marcia/      tu/ tu cammini convinto tu nel dubbio / tu vai solitario tu vuoi un appoggio / tu attendi una nascita tu una rinascita / tu voglia di comunicare tu di ascoltare / tu sai convincere tu ti lasci convincere / tu il disperato tu che sai sollevare / tu che sai cosacome dire / tu che sai ripartire / tu che non sai comequando / tu che sai ideare poi fare / resta un delirio?/      tu/     entriamo nel giardino senza cancelli / senza conoscere orario di chiusura / nessun divieto affisso di frastuono o uso d’armi / d’improvviso….non hanno senso /      resta la nostra marcia/     tu/    tu voglia di terra da coltivare tu da conquistare/ tu lanci parolefrecce tu ne sei ferito / tu vuoi lasciare un segno tu lo stai cercando / tu contempli tu interroghi / tu insegui la realtà tu l’utopia / tu nato leader tu solo gregario / tu solo volontario tu solo contro tutti/ tu clown per mestiere tu inconscio comico / tu modello da imitare tu solo mimo /tu aguzzino tu vittima vera o consenziente (lo sai solo tu) /      resta la poesia?/     tu/     tu fuori dalle riserve dai recinti / tu fuori dalle guerre dai labirinti / tu fuori dai ripari dai raggiri / tu contro la violenza l’indifferenza / tu per l’uguaglianza nella differenza / tu non per la tolleranza ma per l’indulgenza / tu che pensi non ti fai pensare / tu che sbagli rifletti e fai riflettere / tu che scrivi per salvare bellezza e per liberarti non per liberare/ tu che chiedi perdono ancora per gli uccisi / tu che / solo-con-le-parole    solo-con-le-parole     (pagg. 69 e 70).

Con Andare per salti Annamaria ha vinto la seconda edizione del premio organizzato e promosso dalla Casa Editrice Arcipelago Itaca, cosicché la sua scrittura viene ad affiancarsi, nel catalogo, a quelle di altri poeti che, ognuno con una scelta espressiva personalissima e peculiare, cercano e trovano il confronto con la realtà contemporanea; Caterina Davinio firma un’articolata e sapiente introduzione che possiede, tra i molti, il merito di mettere in relazione la poesia dell’autrice con i suoi studi e interessi di biologa, in un decisivo convergere tra la bellezza dello studio scientifico e il rigore della scrittura poetica, tra la libertà fantasticante della poesia e lo sguardo acutissimo della scienza.

Antonio Devicienti

Carteggi Letterari

1 commento su “‘ANDARE PER SALTI’ DI ANNAMARIA FERRAMOSCA”

  1. Ringrazio i redattori di Italian Poetry per aver diffuso qui il pensiero acuminato ed empatico di Antonio Devicienti sulla mia più recente scrittura poetica. Il mio denso grazie al recensore e ad ogni lettore che vorrà soffermarsi sulle sue parole e sui miei testi.
    Il libro Andare per salti, vincitore del Premio Arcipelago Itaca 2016 per silloge inedita, è stato pubblicato nel 2017.
    Altre recensioni e notizie su questo e sui nove libri precedenti sono nel mio sito http://www.annamariaferramosca.it
    Annamaria Ferramosca

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