L’IMPEGNO CIVILE DI FRANCESCO BELLUOMINI
È un autore, Francesco Belluomini (Camaiore, classe 1941), aduso a guardar in faccia la realtà e dire la sua, in prosa e in versi, con fierezza e franchezza tutta toscana, senza concessioni al sentimentalismo, fedele sempre a un principio che fa del rispetto della memoria la sua peculiare misura morale, il suo fulcro espressivo e concettuale. È una virtù, questa della franchezza, coniugata a una grandissima generosità e disponibilità umana, che lo ha sempre caratterizzato e che bisogna veramente riconoscergli, ancor più oggi, nella circostanza della sua scomparsa, al termine di una breve, dolorosa malattia. Virtù e qualità, che, solo per restare ai suoi libri più recenti, ossia il romanzo Sul crinale dell’utopia (2013), e il poema Intimi riflessi (2015), si rivelano capaci di creare cortocircuiti sentimentali ed espressivi che trovano espressione in una complessa elaborazione, da parte dell’autore, del proprio esserci nel reale, nella vita: nel primo caso, di fronte ai disastri ideologici del recente passato (nello specifico, il “tradimento” di ogni utopia, di ogni attesa palingenetica della Rivoluzione sovietica); nel secondo nella scoperta della propria nudità di fronte alla morte delle figure fondanti del proprio sistema sentimentale più profondo. È una sorta di elaborazione personale e civile del lutto, quella che Francesco Belluomini ci lascia vedere da sempre nei suoi libri, quale che sia il genere letterario sotto il quale si iscrivono. Non diversamente da quanto aveva fatto nei versi forti e civili di Nell’arso delle sponde, per le vittime del tragico incidente della stazione ferroviaria di Viareggio, nella notte del 20 giugno del 2009, una lunga, toccante trenodia, un’autentica Spoon River civile come pochi altri sanno fare (esattamente come anni prima aveva fatto per le vittime dell’eccidio nazista di Sant’Anna di Stazzema, con Le ceneri rimosse. L’eccidio di Sant’Anna (1989). È proprio questo spirito che riscontriamo nel romanzo più recente Nel campo dei fiori recisi (2017), che ripercorre “scampoli di Olocausto”, come dice il sottotitolo, mettendo in scena un personaggio oscuro ma significativo, Sonia Contini, rimasto ai margini della storia della deportazione ebraica e fatto riemergere oggi dal suo storico letargo come atto di civile sovversione nei confronti dell’inumanità della vita, per mano di chi, come Francesco Belluomini, nella memoria ha fermamente sempre creduto come in una risorsa energetica e vitale e non vuole che gli altri dimentichino. Vengono, infatti, ripercorsi tragici eventi: le giornate del marzo 1944, in cui la famiglia Contini, al pari di molte altre, fu strappata dalla propria casa livornese per un lungo viaggio senza ritorno, verso i campi di sterminio, dai quali si sono salvate solo due sorelle, Sonia e Daniela, che, nonostante la giovane età, sono riuscite a sopravvivere con matura tenacia scampando al genocidio. A raccontare questa lunga odissea del dolore è Sonia, che, a distanza di anni, rompendo il doloroso silenzio di una vita, si presta a rievocare in uno straziante “memoriale” il lungo percorso che l’ha portata dal campo di concentramento fino ai lontani paesi polacchi, facendo riemergere ricordi sepolti, ma non rimossi e cancellati, ridando spessore a figure lontane attraverso la storia della sua adolescenza, spesa dietro il filo spinato del lager di Birkenau. Un atto di giustizia, quindi, questo libro, che tocca il lettore con la forza della sua verità e del suo linguaggio, non meno di quanto avviene in un altro “memoriale” scritto da Ines Figini (“Tanto tu torni sempre”. La vita oltre il lager, a cura di G.Caldara e M.Colombo, Melampo, 2017), che qui mi sembra utile citare. È a questa esigenza di rispetto della verità che Francesco Belluomini presta la sua penna: non per trovare “la ragione del piangere” – i fatti sono di per sé eloquenti – ma per ridare dignità alle vittime di ogni violenza, al di là di ogni perdono, per “guardare avanti” con serena fierezza e fiducia.