LA LINGUA DI BEPPE SALVIA

LA LINGUA DI BEPPE SALVIA

… Della esperienza di “Braci” facevano parte Colasanti, Salvatori, Del Colle, Lodoli e, appunto, Damiani. Ma soprattutto un giovane che si era presentato per leggere delle poesie proprio a Sant’Agata de’ Goti. Si chiamava Beppe Salvia e bisogna usare l’imperfetto perché Salvia si è ucciso a soli trentuno anni nel 1985. Quanti, fuori da Braci e oltre i poeti, conoscono la poesia di Salvia? Un giovane occhialuto che aveva stupito tutti. Lui non era la brace, era il fuoco che ondeggiando la rendeva viva e intoccabile. Nel libro “La difficile facilità” (Lantana, 2016) Claudio Damiani confessa che quella poesia annunciata da Salvia fino ad allora “era assolutamente impensabile, e fu una rivoluzione. C’è qui un tempo di impossibilità, di impotenza, un tempo in cui manca tutto, vita senza vita, tempo finale e, insieme, iniziale. Tutto l’affondo nell’esplorazione della lingua, il ricongiungimento tra la lingua della poesia e la lingua della realtà, giunge a questa foce estatica di chiarezza e di calma, di dolore nitido e insopportabile, di meravigliosa musica. Qui davvero è superato, come ebbe a dire Emanuele Trevi, l’ermetismo, che la neoavanguardia non riuscì a superare. Qui è superato il Novecento”. Leggete questo Salvia e commuovetevene: “I miei malanni si sono acquietati, / e ho trovato un lavoro. Sono meno / ansioso e più bello, e ho fortuna. / È primavera ormai e passo il tempo / libero a girare per strada. Guardo / chi non conobbe il dolore e ricordo / i giorni perduti. Perdo il mio tempo / con gli amici e soffro ancora un poco / per la mia solitudine. / Ora ho tempo per leggere per scrivere / e forse faccio un viaggio, e forse no. / Sono felice e triste. Sono distratto / e vagando m’accorgo di che è perduto. (da “Cuore (cieli celesti)”, Rotundo, 1988). …

Simone di Biasio

La poesia e lo spirito

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