IL TACCUINO POETICO DI ALDO GERBINO

IL TACCUINO POETICO DI ALDO GERBINO

È anche una sorta di diario autobiografico di lavoro questa raccolta di versi ora lirici ora epigrammatici, alla quale Aldo Gerbino ha dato il titolo enigmatico di Comete mercuriali, piume. Taccuino poetico (2007-2015) (Algra Editore, prefazione di Maurizio Cucchi), la cui intenzione è palesata con una parsimonia finalizzata a preservare il grado necessario di ambiguità che la poesia esige. L’oscurità da dissipare, l’ostacolo che sfida il lettore a battersi per estorcere un senso alle parole, è quasi ostentata nella riproduzione in copertina di un olio di Sergio Ceccotti (Piccola malinconia italiana, 2006), del quale è protagonista un fascicolo della “Settimana enigmistica” in evidenza sul tavolo di un interno borghese, rovescio d’un paesaggio metropolitano imprescindibile, che s’affaccia dalla finestra di fianco con una vettura del tram scorrente sul binario d’un viale algidamente illuminato. Aldo Gerbino fissa questa immagine in un commento soggettivo: “avvolti nel tintinnio lacrimevole d’un tram, i cruciverba / al tavolo spargono pasticcini, flûte, dadi enigmatici”. E ne completa la illustrazione con una notazione pudicamente autobiografica, che s’intreccia con la tavola didascalica raffigurante un cuore rosso e blu, che nel dipinto incombe dalla parete su uno spino santo giallo, che minaccia trafitture: “Perso il favore del dio, esaurita ogni pietà, ecco/ l’astragalo siculo (lo spino) attraversare le reti del cuore”. L’esplicazione del titolo del Taccuino poetico  è offerta da alcune citazioni in esergo alla prima sezione, “Comete, amebe, piume”, la prima delle quali è tratta da uno studio dell’istologo Angelo Ruffini (1864-1929), che osservò il comportamento delle comete o amebe mercuriali, microsferule di mercurio, che in modo irregolare e imprevedibile “eseguono vivaci e capricciosi movimenti […] attorno al cristallo [di bicromato potassico]” (p.7). Aldo Gerbino, che è istologo e morfologo, suggerisce in paratesto (p. 119) un’applicazione tutta metaforica dei fenomeni di tensione superficiale al lessico: il moto delle sferule sta per il comporsi inatteso e inaudito in espressioni dotate di mobile senso di parole altrimenti disattivate e inerti, “che si animano di nuova esistenza”. Così una parte dei componimenti (Comete mercuriali, Chincaglieria e la sezione Silenzio nella ragnaia) è smagliante poesia della poesia. Se le piume, residuo dello smembramento di volatili uccisi, rinviano a uno studio intenso di De Pisis qui esemplificato, le amebe accennano il passaggio dal mercuriale inorganico all’organico degli esseri monocellulari studiati nella seconda metà dell’Ottocento da Müller ed Ernst Haeckel, il biologo artista al quale Gerbino s’ispira per la sua morfologia microcosmica come “scienza dell’occhio”. Lo studio della natura vivente, che è onnipresente nei testi di questo poeta, gli conferisce una malinconica serena compostezza innanzi alla morte (“tracimiamo/ con lentezza nel tempo del padre: noi concimi, noi staffette”, p. 14), ma gli dà tutta la felicità possibile nell’esperienza delle acque del Mediterraneo traboccanti di forme.

Nicola De Domenico

Gazzetta del Sud

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