LE POESIE GIOVANILI DI MAURIZIO CUCCHI
Lʼultima sezione del libro di Maurizio Cucchi, Paradossalmente e con affanno (Einaudi), intitolata “La sciostra”, propone una forma, quella del prosimetro, poco frequentata dalla poesia italiana. Ravvisabile già nei testi giovanili (editi in plaquette tipografiche o del tutto inediti) che compongono la maggior parte del volume, lʼoscillazione fra versi e prosa si dà come una costante nel lavoro del poeta milanese. Il verso e lʼimmaginario prosaico («Osserva – Sabatino – attento/ i miei consigli»; «La tua tovaglia a grossi quadri/ bluarancio non sciorinare in briciole./ Accosta ogni volta con ansia/ al palato la cucchiaiata») sono alla base della sua prima raccolta Il disperso (1976); mentre la comparsa di un piccolo racconto sembra far segno verso la commistione dei linguaggi operata dal prosimetro. Residuo di una Milano scomparsa, la sciostra (deposito fluviale di merci e materiali) attira a sé il presente e lo disfa in un cortocircuito temporale. Oggetti, scarti, ma anche un proliferare vegetale si legano, e la memoria concorre a creare una sorta di microambiente. Figure e stilemi dellʼautore agiscono: Giuseppe, personaggio de Le meraviglie dellʼacqua (1980), si sovrappone al camminatore del prosimetro portando con sé il desiderio di un contatto con la realtà: «concreto», e dal quale derivi un «frutto»: una modalità dʼazione. Lʼandamento analitico delle poesie inserite alla sua comparsa, sembra darne conto. Lʼelencazione dei particolari visivi, delle scene diventa una strategia efficace per situare lʼio poetico allʼinterno dello scarto temporale, aperto dallʼincontro fra il deposito e le memorie in emersione. Eʼ lʼalternanza dei linguaggi a permettere una diversa percezione, e a innescare una «modesta/ resilienza del soggetto». Il valore del recupero del passato non lavora solo allʼinterno del prosimetro, ma insiste e modula la struttura stessa del libro. Paradossalmente e con affanno è esso stesso una sorta di sciostra, un magazzino con i suoi materiali dimenticati, o lasciati indietro. E solo dopo tanto tempo, dopo tanto camminare nel tempo (sono passati cinquantʼanni) che Maurizio Cucchi li ritrova e gli dà una nuova collocazione. Infatti il volume si configura sotto il segno della circolarità, come due specchi che si guardano: è lʼuno che dona lo sguardo all’altro. Se in una delle poesie giovanili Maurizio Cucchi lancia il suo sguardo oltre il futuro, forse quasi prefigurandosi («Il viso inutile di uno sconosciuto/ le frasi smozzicate perdute agli angoli/ della bocca/ i giochi di prestigio su un filo teso/ un occhio allʼorologio sempre/ con un affanno e un tormento/ perché è ridicolo riconoscersi/ in un groviglio di ombre»), dopo tutto il peregrinare poetico, e non, quello sguardo ritorna rovesciato. Non un tentativo di aderire, di ritornare a uno stadio larvale («Per carità, niente campagna, o ritorno alla natura, quella feroce pianta carnivora»), ma il tentativo di una comunanza con il ragazzo che si è stato, un modo per «rincontrarlo ancora». E sotto questa luce si colloca la chiusura del prosimetro. Ciò che è diventato una piccola ossessione, una rêverie continua non è altro che il messaggio di un giovane lasciato a se stesso, da seguire ancora molti anni dopo: «questa sola radice coperta di terra».