STANZE INQUIETE DI LUCIANNA ARGENTINO
Ci sono libri che poggiano su un progetto definito, solido, anche se arioso: è il caso delle Stanze inquiete di Lucianna Argentino (La Vita Felice). I testi formano quasi un canzoniere, quotidiano eppure destato dal mistero. Sono tutte «stanze» dedicate: scritte per persone che hanno incrociato l’autrice nel suo ruolo di cassiera di un supermercato, così protesa sull’abisso dell’altro, attenta a decifrare il prossimo e in cerca di un ascolto reciproco.Perciò la Argentino dà voce a «quel desiderio confuso di poter mettere il cuore / nel cuore di un altro», con la «memoria scorticata a tutto raccogliere e salvare». Degli altri non è solo quel che appare a fare appello all’ispirazione, ma anche quel che si ignora, che si lascia appena indovinare, costretti tutti in ruoli limitanti, in attimi brevi di scambio e mutuo riconoscimento. Come la poesia si fa interamente stanza abitabile per l’altro, così il verso si allunga e si fa sordo, inseguendo l’integrità di un dono da custodire, che forza le gabbie formali. Ciò non toglie che i testi siano per lo più risolti ed efficaci: a sostenerli è una sorta di respirazione interiore, di distensione, di accoglimento della voce più segreta, che diventa sapienza («[…] Anche il dolore è interpretazione, / penso, oppure no, può ristagnarci dentro, / non fiorire mai, mai farsi bellezza»). Dopo L’ospite indocile (2012) la poetessa si dedica a un’ospitalità ancora più disponibile, guidata dalle parole amiche di Simone Weil, che indica nell’attenzione orientata fuori del mondo la facoltà di gettare luce su ogni essere umano. Anche quello appena sfiorato.