I CLASSICI NELLA POESIA DI RENATO MINORE
Che Renato Minore abbia intitolato la sua raccolta di poesie, Nella notte impenetrabile (Passigli Editore), con una citazione del più enigmatico autore della letteratura latina non è soltanto un omaggio a Petronio, di cui vengono tradotti, nell’ultima sezione, alcuni versi del Satyricon (dove nocte soporifera, con aderenza analogica, viene tradotta “nella notte impenetrabile”). È anche, credo, un accostamento ideale, una sintonia allusiva con quella mobilità di registri e quella levità di passo che aveva indotto Nietzsche a definire Petronio “piedi di vento”: di un vento che “guarisce ogni cosa, costringendo ogni cosa a correre”. L’apertura di un orizzonte circolare è già attuata nella prima sezione, “A chi contempla il cielo in una notte stellata”: dove la poesia diventa raggio cosmico, conquista antropologica e ascolto interiore in una interazione metafisica ed esistenziale di rara intensità e lucidità. In un contrappunto sapiente e ironico seguono le nugulae della seconda sezione. Se nugae era il termine amabilmente riduttivo con cui una tradizione illustre, da Catullo a Petrarca, dissimulava le cose più personali sotto l’appellativo di scherzose e futili, nugulae, ripreso dalla tarda latinità di Marziano Capella, rappresenta una riduzione ulteriore. E sono tra i testi più felici della raccolta, nel loro declinare le quotidianità con desinenze insieme satiriche e malinconiche. C’è nella poesia di Renato Minore il gusto di una rêverie che muove dai poeti più amati (da Rimbaud a Pessoa a Jabès) per perdersi e ritrovarsi in paesaggi nuovi, spesso sigillati da una gnome discreta e suggellati da una epigrafe finale, “Un’anima abita e custodisce il bosco”, arricchisce questo percorso di diversioni e di sorprese. In “Foto ritratti e altro” la lunga frequentazione, anzi la familiarità leopardiana, rende nitide certe gravures, tra aneddoto e mitologia domestica, di insolita finezza. Ma la memoria è popolata di altri incontri. Sulla pagina, ma anche nella vita, come Flaiano, rievocato in Settembrata con una narratività distesa e amara. L’ultima sezione si intitola “Cambiando registro: qualche prova”: sono “imitazioni”, in senso leopardiano, da Filodemo di Gadara e appunto da Petronio. L’eleganza ellenistica coglie un punto delicato e straniante di contatto tra il proprio declino e il tramonto del mondo. Anche qui riscopriamo consonanze nella diversità e distanza nella continuità. Ho voluto riprendere le articolazioni della raccolta per suggerire una idea della sua ricchezza di toni, della sua complessità di accenti, della ampiezza delle sue ricerche. In Renato Minore la presenza dei classici, in una cornice storica antropologica e cosmica, ha il potere di intensificare un’inquietudine e un disagio esistenziali, proiettandoli su altri sfondi e altre esperienze. E’ come se il presente acquistasse ulteriore durata dalla percezione dei suoi echi retrospettivi e delle sue amplificazioni corali. Per questa via Renato Minore conferma quella autenticità e quel respiro che lo impongono come una delle voci più sommesse e insieme più forti della nostra poesia.