La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Marco Tornar


 

Marco Tornar è nato nel 1960 a Pescara, dove è scomparso nel 2015. Ha pubblicato le raccolte di poesia: “Segni naturali” (Bastogi, 1983), “La scelta” (Jaca Book, 1996), “Sonetti d’amor sacro” (Tabula fati, 2014), i romanzi: “Rituali marginali” (Bastogi, 1985), “Niente più che l’amore” (Sperling&Kupfer, 2004), “Claire Clairmont” (Solfanelli, 2010), “Nello specchio di Mabel” (Tracce, 2011), “Lo splendore dell’aquila nell’oro” (Tabula fati, 2013), il monologo teatrale: “Allegra per sempre” (Tabula fati, 2011) e altri scritti, tra cui “Errando di notte in luoghi solitari” (Quaderni del Battello Ebbro, 2000). Ha curato l’antologia “La furia di Pegaso. Poesia italiana d’oggi” (Archinto, 1996) e tradotto opere di Henry James, Jane Alexander, Kate Field, Vernon Lee, Sigrid Undset, Constance Fenimore Woolson. Nel 2017 l’edizione ragionata delle sue “Opere”, curata da Sandro Naglia per Tabula fati, è iniziata con la pubblicazione delle “Poesie edite 1980-1992”, cui fa seguito il volume di “Poesie inedite 1985-2000”.

 

 

POESIE

 

AMIGOS

Un giorno ti domandi: a che serve

Ripararsi dietro un vetro, parlare

Dei calcoli sbagliati prima del previsto:

Non fa storia o notizia

Il tuo sguardo che cade sopra il mondo, l’angoscia

Che scompagina i messaggi — tracce di preghiera,

Cenni di prigione, ora che puoi aspettare l’alba o Godot,

Trincerarti in un sogno senza capo né coda, non rimane

Che misurarci l’ampiezza delle mani, guardarci

Profondamente negli occhi, fa lo stesso...

 

(fuori la nebbia si confonde con il porto

e i passanti azzerati dall’impegno

civile, consumano sigarette tra raffiche di memoria

o di morale...)

                                    (Da Segni naturali, 1983)

 

 

VERSI PER UN INVERNO DOLCISSIMO

La cosa, l’illusione dolciastra

Che mi puoi raccontare nei giorni

Di pieno terrore, sormontava stralci di

Menzogne passate sullo stampo dei vecchi progetti

Maltrattati da dio e dal padrone (sembri

in certi giorni chimerici un ordine posto nel nulla

alla presenza di incauti

guardoni).

 

Poche notizie da qui dove strappo i rimorsi

Come fazzoletti uniti dal destino

Di chi ha fame di vivere sospeso nel magma

Dei ricordi e delle più corpose

Rettitudini (stamane, nel bosco qui accanto,

è morto il vecchio che ti accarezzò come un padre

quando cambiasti vita).

 

È più onesto, anche se penso poco, ormai,

Vivere come dannati in attesa di un certo

Giorno, programmato da sempre, che riduce

Le briciole di quella realtà che c’eravamo

Imposti: bestie da preda, oggetti di consumo

Senza conoscenza, senza spargimenti

Di sangue: lo domandai alla ballerina

Che ti figurava beata se era meglio

Lasciarti libera nei singhiozzi, o altro.

 

Dunque

Bevi calici di vita, inneggia pure allo

Sdoppiamento cieco che ti riporta a me:

Domani appariremo come due fiaccole, uniti

Dalla voglia di crescere in vivi entusiasmi, amore.

                                    (Da Segni naturali, 1983)

 

 

 

 

Nei sogni ci sono confidenze eterne
e l’errore è sorprendersi in un caos
dove moltitudini avanzano esattissime
nello zelo di un’inerzia
autunnale e proibita. Ci sono molti occhi

compiaciuti nella platea della notte
e i desideri hanno ormai tracciato
la loro smorfia all’idea della battaglia.
C’è chi semina odio e chi distoglie
limiti a continenti di obbedienza
e il passaggio dell’ora rovescia la vergogna

per un’altra logica contrapposta all’ozio:
le finestre hanno inquinato lo sguardo
di quell’uomo che non si rivolge più a nessuno

quando le motivazioni si fanno più oscure
e la visione si concentra in un tramonto.
C’è un concerto di stelle che riduce
la verifica di un’ironia senza percorsi
e da una contemplazione si raggiunge
la vigilia di argomenti scomparsi.

                                    (1985)

 

 

 

 

 

è il calibro della notte, sono
pronte le vestali dietro il sibilo
della colpa rovesciata: quale ispirazione

accende questa silloge?
Specchio, sigillo altrimenti
senza regola si può percorrere
l’ansia delle stimmate dopo
la brevità dello splendore
(oppure mi chiedo se di nuovo è mattino

desidero promettere ma non posso volare,

lo specchio che più travolge è quello
che non si rovescia).

                                    (Da Mydriasis, 1986)

 

 

 

 

Durante un’ora di coscienza
lo specchio ci ferì improvvisamente.
Era tutto strano, fuori luogo
se già da secoli arriverai per ultima.

Quando fuori c’è una musica
noi non possiamo uscire
con un errore nel volto. Se
ripeti quegli occhi
la formula non è solo un’invenzione
ma anche i semi urlano dentro la specie.

Sono distici inutili
questi passi rispettati dalla sabbia.
E noi identici a novembre
quando donammo un nome al vuoto.

Sempre lo stesso
coraggio, tra pareti lontanissime

sempre questa porta.
Paura, croce, luna, voce...
toccherà a te mescolare le carte

scambiando per poesia
i nemici che offrono aiuto.
Nella tua mano ho visto
che si può piangere.

                                     (Da L’anno di poesia 1988/1989, Jaca Book)

 

 

DEDICA

 

Dei nostri incontri non parlerò a nessuno.

Né alle streghe né al vento

né a questi anni pieni di luce e di pazzia.

Nessun colore imbratterà quel bianco

dove ci siamo conosciuti, con gli occhi lieti

e la semplice magia di tutti i sogni. «Ma qui vicino

c’era la sorgente dell’acqua…». Ogni lanterna

sarà la nostra casa, la nostalgia che assiste

come fiocchi di neve

il silenzioso ferirsi della goccia sul viso. E nella casa

ho visto nello specchio una candela

la melodia che sale, il vino, quei profili di porpora

che guardano lontano

verso vangeli sconosciuti, un’amicizia.

Poi, le mille strade di un mattino.

Come quando, colmi di affetto e di tristezza,

stringendo in mano un segno della vita

camminiamo sotto altari di pioggia

mentre appare, dal niente, una parola.

                                     (Da La scelta, 1996)

 

 

STRADA

 

In viaggio tutti gli specchi presero a bruciare

e molti dimenticarono la vita precedente. C’era

odore di mattino dietro i finestrini

Quando il ragazzo, alzandosi, divenne presto vecchio.

«Ho bisogno di te — disse a un richiamo — prima

che questo treno si svegli e un’altra mano si chiuda».

In quel momento il paesaggio cambiò la sua corsa

E la musica avvolse le ferite.

                                    (Da La scelta, 1996)

 

 

 

 

FESTA

 

Vicino al parco udimmo la pioggia

bisbigliare pomeriggi da ragazzi, la felicità

di rimettersi la maglia ai primi freddi.

«È davvero passato tutto questo — sembrava pensare

mentre si copriva con la gonna le ginocchia

tirate davanti a sé — né la tua poesia può vincere

il rapido colpo d’accetta del tempo».

La luna stregava ogni cosa. Anche i suoi occhi

sembrava che stessero fissando

un punto inaudito tra le piante. Dai capelli bagnati

una goccia le solcò il viso, illuminandosi.

                                    (Da La scelta, 1996)

 

 

CIGNO

                            A Claire Clairmont

 

Sei entrata nei miei versi come un cigno

che scivola sull’acqua lentamente,

fila bianchissimo dentro la mente

esausta di collegarsi al ghigno

 

stridente della cronaca, al macigno

che grava su ogni vita laicamente

impostata. Ma se davvero niente

faccia presumere che qui un ciprigno

 

richiamo possa di colpo mutare

il doloroso vuoto di una stanza

nell’alone della tua tenerezza

 

quando mi parli — perché ogni asprezza

scompare, e si rianima una danza

antica, se t’immagino cantare?

                                     (Da Sonetti d’amor sacro, 2014)