Nadia
Scappini, di
famiglia veneta, è nata a Bagno di Romagna nel 1949 e vive a Trento.
Dopo
l’insegnamento nei Licei, si occupa di promozione culturale, scrittura
e
critica collaborando con la pagina culturale di alcuni quotidiani
locali e con
riviste nazionali. Ha organizzato convegni e seminari di studio su
poesia e
mito e su temi di attualità del giornalismo. Tra i titoli più recenti
di poesia
“La luna nuda” (Travenbook, 2007);“Il
ruvido mistero” (Ancora, 2008); “Un’ora perfetta” (Aragno,
2015); i
romanzi: “Le ciliegie sotto il tavolo”
(Marietti, 2012), nella terna dei finalisti al Premio Cortina e
vincitore ex
aequo al Premio Asti d’Appello 2012; “Sonia
e il poeta” (Il Vicolo, 2016); un saggio su preghiera e poesia “E tuttavia Ti cerco” (Ancora, 2008) e un
saggio/narrazione su cibo e convivialità “Limone ruffiano” (Il Vicolo,
2016).
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tunagu@alice.it
POESIE
Sonia
e il poeta
(monologo in versi in otto
quadri)
Nulla fides ullo fuit
umquam foedere tanta,
quanta in amore tuo
ex parte reperta mea est
(Catullo, carme 87, vv. 3-4)
1.
l’incontro, a
Selinunte
Aveva
Sonia una beltà feroce,
la
grazia di una dea che non frequenta
il mondo.
Allacciate
le parole si sfidavano
tra i refoli a spirale
che saldavano l’estate
mitigava
il sole il rosso dei geranei
tra
agavi sontuose ed olivastri
sedeva
su una pietra appena
fuori
dagli scavi, colpiva il nero
dei
capelli appena mossi
sul
lino bianco dell’abito gualcito
portava
un braccialetto verde e viola
che
tormentava sfilandolo dal braccio
come per darsi un tono
forse nascondere un’attesa
ignoravo
che l’avrei rivista a sera
nell’albergo
azzurro sul mare
tra i
turisti francesi che per mestiere
era solita accompagnare
che quella valle
dove
i templi svaporano nel niente
dove
pregare è un errare smisurato
avrebbe
sigillato un nuovo amore
-infausto senza appigli-
per
l’incuranza nota degli dei
2.
l’epilogo,
a Milano
Ho
parlato a lungo - ieri - con Sonia
studiando
ogni possibile via
cercando
il fuoco dove poterci
incontrare.
Ma lei sosteneva
non
esserci uscita: storia finita,
lasciarsi
- diceva - altro non resta.
Oh,
anima inquieta, distante già
dal
caldo umidore che io paziente
alimentavo di melodie
arrangiando
parole arruffate -- paratie.
Eppure
da tempo spiavo lo spettro spietato
(covava
la lontananza amara nell’abbraccio)
mentre
un gelido fruscio mi trapassava
con
il sapore infernale del distacco.
Sì,
mi ero fatto custode fedele
di un
tempo conteso tra promesse
e continuati disincanti rimossi
tra i
pietosi asfodeli di Proserpina
nei crateri senza luce.
Almeno
riuscissi - ora - a stanare
dal
viola la luna limone, la rauca
compagna
del mio respiro che incalza
dentro
l’aurora insidiato come la fiamma
flebile
di una candela bianca.
3.
tentativi
proprio
lì in disparte
tra
le pieghe gualcite
sostava
con lo sguardo fiero
mi
chiedevo allora nel frastuono
come
vestire i suoni di silenzio
per
consentire al suo pensiero
di
non disperdersi in segrete fenditure
basta
lasciarlo fluttuare - mi dicevo -
per una
durata imprecisata
palpitare
in misure diverse
fino a una forma
che germogli a modellare
i desideri grigi
in minuscole aurore
e lei
- sentendomi chinata sulla sua sosta
in quel breve pomeriggio
che
sapeva già di primavera (e faceva solo finta)
parlò
e ci fu tregua
4.
una
nascosta scala
distendo
nel riquadro d’ombra
uno
spicchio di pensiero ostinato
come
le parole - quelle dette
a
labbra chiuse che non so
se
mai cammineranno all’angolo
dove le piace sostare -
ma
c’è un luogo, una nascosta
scala
dove il respiro dell’aurora
si fa
canto nella luce piena
dove
cova la confidenza
mentre
il suo volto si riapre
e
tornano a sfogliare i giorni
tutto
il mio corpo, allora, freme
ma cautamente
come
in un recinto
di muto stupore
5.
viaggio
(sul
Bosforo)
e io
un rosso struggente, al tramonto
--
s’attardava dall’alto sulla terra
come
Iride a segnare l’alleanza
per
noi a coniugare l’amore
dolce
come frutto tardivo e sodo
la
polpa sguainata dal disincanto
delle
stanze oscure in lontananza
quietato
come la lana morbida
al
primo freddo di una stagione
che
scompagina il certo provvisorio
6.
partenza,
a gennaio
il
freddo ha denti
che
affilano anche i giorni
in
questa fine di gennaio
latita
la luce anche se
tento
di salire verso il cielo
di
accendere uno spazio
magari
solo per pregare
e
fare che il respiro nero
si
quieti nella neve sfarinata
all’alba
7.
ultima
estate
i
nostri corpi protesi nel silenzio
manichini
opachi senza suono
ora
stonati sulle sdraio a righe
azzurre
nel tempo immobile
fermi nel sole
ci
siamo persi così
per
la fatica di stare sospesi
per
non sapere come spiegare
la
rete dove ci eravamo imbrigliati
ci
siamo persi così
senza
più corredo né provviste
che
potessero legare i nostri nomi
nemmeno
la carità di una porta socchiusa
-
ammutoliti
per
la nuvola rotta
che
né sole né acqua lasciava
inesorabilmente
più passare -
8.
lettera
Quando
uscirai da questa casa
non
sostare, Sonia, sulla soglia
non
ci sia anche lo strazio
di
vederti andar via, sentire
il
suono del mazzo di chiavi
il
tuo scatto nervoso
sulla
consolle che a lungo
avevamo
corteggiato
dal
piccolo antiquario sui Navigli.
Lo
sai, non mi piacciono i titoli
di
coda - ma oggi li fermerei
a qualunque condizione.
Sarà
l’ascensore dalle pareti
trasparenti
la tua via di fuga
-me
una carrucola scura piomberà
tra
fantasmi implacati dove ancora
sosterò supino
spiando
un’ultima (improbabile) sutura-.
Post
scriptum
Sonia,
non fermare
il
filo che scorre nell’ago
lascia
che adempia il suo scopo
(ha un nodo al capo
per
nuove cuciture).
da “Un’ora
perfetta”
1.
nella
piega obliqua di un sorriso
a volte
nella piega obliqua di un sorriso
rimane qualcosa di confuso
come la parafrasi di una poesia
che sussulta per il raggiro
e si oscura
per quella nube non richiesta
invasiva, anzi, maldestra
2.
sull’orlo
del bicchiere
a
volte, sull’orlo del bicchiere
avverti
un sapore estraneo
come
l’annuncio sotterraneo
che
altro è il contenuto
e
allora non sai se continuare
perderti
nel liquido
o
bloccare l’inclinazione
restando
con le labbra
in attesa
ad
asciugare
come
per un pensiero sopravvenuto
un
muto esitare
3.
nel
timbro di una voce
a
volte, nel timbro di una voce
rimane
qualcosa di sospeso
come
una vibrazione
dietro
alfabeti fragili un filo
che
preme e racconta
di un
possibile restare
dentro
ai lampi
a mietere
parole
4.
il
tempo amaro
viviamo
il tempo dell’enigma
sospeso
differito azzerato
senza
agnizione, amaro
così
cogliamo rose come sorprese
senza
indagare le spine le foglie
le
ferite, ne facciamo un mazzo
regolare
tagliando i gambi
alla
base, le corolle pari ché
sulla
soglia dell’ospite all’apparire
siano
abbaglio, (autentico)
stupore
e
certi uomini stanno
superbi
a contendere i giorni
in
file sconnesse
inconciliati
manovrano
sotto l’insegna
fragile
di qualche schieramento
improvvisato
5.
la
meta
…
l’approdo
scarno, l’anima dilagata
dall’andarsene
orfano e ferito
come
uccelli migranti planano
sul
bianco della pagina
geroglifici
di un ovest sgretolato
confuso
dalla marea sgomenta
di volti senza nome
-li
pigiamo come formiche
senza
voltarci indietro-
e
osserviamo da lontano
se si
tirano su incerti e zoppi
6.
sfoglio
la memoria
sfoglio
la memoria come i petali
di un
girasole per ritrovare
una
forza antica, l’eco di una
voce
che ristori dall’arsura
e
diverga dagli inciampi consueti
dai
vuoti quando incalzano
a
oscurare la linea del futuro
si
nasce destinati alle intemperie
agli
umori del caso? eppure
sappiamo
arretrare sull’abisso
assecondare
battiti vibrazioni
improvvise,
capaci di distendere
contratture
e nodi gemmando
pause
inattese e felici
come,
camminando su certi sentieri
nascosti,
la fiammata improvvisa
(tra i cespugli)
di bacche autunnali
7.
Tutto quel che ascende
converge
Pierre Teilhard De Chardin
sopra
la cala dei ginepri
narrami
dell’aurora sopra la cala
dei
ginepri, luminosa come
una
fragranza
delicata
e sapiente come una preghiera
intonata
nel deserto
claustrale
nella
fede salda della penombra
chiara
e il fruscio dell’angelo custode
quando
pronuncia il nome
e
chiama alle tappe faticose
di
una notte arresa fino a scorgere
il
barbaglio della rosa
che
si fa via via attesa dentro
un
fremito che bacia e che rincuora
e fa
sentire rette la solitudine
le
scarne parole a labbra giunte
l’orazione
dell’orecchio che trattiene
appena
il seme che ascende
e
converge in virtù della bellezza
rara
e democratica di ogni filo d’erba
della
conchiglia che fa la sabbia rosa
dell’ulivo
argenteo e del mirto, degli
oleandri,
del ginepro pungente e
austero,
della buganvillea radiosa
e
florida come una sposa, come
la
vite selvatica, e il glicine slabbrato
e
sensuale sul muro sbiancato dal salso
sulla
rotta del vento
limpido
a pelo d’acqua dove sollevano
gli uccelli
le ali, la barra dritta alla chiamata
8.
eppure
il nostro cuore
gli spazi bianchi stanno
tra le lettere sopra e sotto
e dentro i segni di scrittura
allineano in recinti le parole
rovesciate a trattenere il prima
e il dopo … il silenzio
che inciampa nel mistero
e sfida i vuoti di un tempo
amaro
eppure continua il nostro cuore
a pulsare
dello splendore primigenio perché
(non c’è niente da fare)
quando noi siamo davvero
il paradiso tutti ce l’abbiamo dentro
- magari
appena un richiamo... -
ci è dato nell’istante in cui
nell’utero materno
germiniamo
TRADUZIONI
1.
in the slant bend of a smile
in the slant bent of a
smile
something dim loiters
like a poem’s paraphrase
that startles for the
sidestepping
and darkens
for that cloud, which is
unasked
intrusive, better yet,
inept
2.
on the edge of the glass
sometimes, on the edge of the glass
you taste a foreign flavor
like an underground revelation
that the content is another
and then you don’t know if to go on
lose yourself in the liquid
or stop bending
and stay
with
your lips
waiting
to get dry
like a thought popped up
a mute hesitation
3.
in the timbre of a voice
sometimes, in the timber of a voice
something pending lingers
like a vibration
behind frail alphabets a thread
that pushes and tells
of a possible stay
within lightning
to
harvest
words
4.
the Bitter Time
we live the time of enigma
pending postponed zeroed
with no agnition, bitter
and so we pick up roses like surprises
without inspecting the thorns the leaves
the wounds, we make an even bunch
cutting the stems
at the base, level every corolla so that
at the doorstep, upon the guest’s arrival
they dazzle, (authentic)
awe
and certain men stand by
puffed-up to fight over days
in irregular lines
unreconciled
they maneuver under the frail
insignia of some makeshift
line-up
5.
the destination
…
the paltry landing, the soul overwhelmed
by the orphan and battered leave-taking
bound to an unknown beyond
will everyone reach their destination, ever?
as migratory birds they glide
on the white of the page
hieroglyphs
of a
West fallen to pieces
puzzled by the distressed sea
of
nameless faces
—we pack them like ants
without looking back—
and we stare from afar
if they get themselves up, unstable and crippled
6.
I pick off my memory
I pick off my memory like
petals
of a sunflower to recollect
an old force, the echo of a
voice that quenches from
thirst
and veers from the usual snags
from the gaps when they
press
to darken the line of the
future
is one doomed by birth to
the storms
to the moods of fate? And nonetheless
we can step back from the
abyss
go along with beats, sudden
vibes, capable of loosening
contractions and knots by
budding
unexpected and happy pauses
just like, walking on
certain hidden
paths, the sudden fire
(in the bushes)
of autumn berries
7.
Everything That Rises Must Converge
Pierre Teilhard De Chardin
Over the junipers bay
tell me of the dawn over the junipers
bay, shiny as
a scent
delicate and wise like a prayer
risen in the cloistered
desert
in the steady faith of the clear
half-light and the guardian angel’s swish
when he whispers the name
and calls to the demanding stops
of a surrendered night until spotting
the shimmer of the rose
getting more and more longed-for
within a kissing and heartening thrill
and making the loneliness feel fair
as well as the scanty close-lipped words
the sermon of the ear that barely
holds the seed it rises
and converges in virtue of the rare
and democratic beauty of every blade of grass
of the shell that grinds pink sand
of the silver olive-tree and the myrtle, of
oleanders, of the stinging and severe
juniper, of the bright bougainvillea
blooming like a bride, like
the wild grape, and the sensuously ripped
glycine on the sea-salt whitewashed wall
on the route of the clear wind
on the water level where wings of birds
are spread, right rudder upon call
(Translation by
Sara Fruner)