La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Giulio Ghirardi


 

Giulio Ghirardi è nato nel 1944 a Venezia, dove è morto nel 2014. È autore di una quarantina di libri, collaboratore di giornali e riviste nazionali ed internazionali. Le sue raccolte poetiche sono numerose, a cominciare da "La penna d'oro" (Rebellato, 1979), attraverso “Per motivi di spazio” (1998), “Un poeta a metà” (2000), “L’occhio e la pagina” (2003), “Finestre di voce” (2006), Amore e ironia” (2008), “Numeri chiusi” (2011), “A mezza voce” (2013), “Fili d’erba” (2013), e fino a "Sillabe indipendenti" (2014, con un lungo saggio di Renato Minore), pubblicate prevalentemente dall'editore Gangemi di Roma. In traduzione inglese di Mark Brady, tra le altre, le raccolte: “Voice Windows” (2006), “Self-portrait in a Glass of Red” (2013), “Blades of Grass” (2013). È anche autore di prose, in parte raccolte in “Fazzoletti di prosa” (2013) e di saggi di varia natura e di scritti d’arte, riuniti in “Appunti e contrappunti” (Marcianum, 2014).


Email    gl.ghirardi@gmail.com



POESIE



“A MEZZA VOCE”


Attese


Non scrivono.

Aspettano che la volontà

piova dal cielo,

che l’aria primaverile

risvegli le smanie segrete…


Anche le pagine

hanno bisogno di respirare

dopo un ciclo di inverni

possessivi e dogmatici

come i canoni

imposti ai poeti

dal sadismo dei lettori

all’antica…


(da Dal Boccascena)



Ventagli


Il libro è un ventaglio

di analogie.


La memoria è una lingua di mare:

avanza, indietreggia, accarezza

la sabbia, ispeziona le orme

dei passi non dichiarati…


Figlio di un frontespizio, anch’io

come tanti, mi vergogno di

spogliare gli affetti. La coscienza

mi invita a sigillare

il carattere nel guscio anonimo

di un cofanetto usurpato dalle allusioni…


Il ventaglio si apre e si chiude

come una preghiera

sussurrata nel buio

alla presenza di un testimone

che ascolta e traduce

le assonanze amorose…


(da Embrioni)



Nomi antichi


Lasciate che vi risvegli,

nomi emblematici,

segnalibri di memorie appassite.


È lecito ammettere un nome,

affabile e compiacente

al dialogante che strilla,

come un automa,

se gli premi la pancia

se gli tiri le orecchie

che non ascoltano…


Lasciate che i libri

si spoglino come statue

dopo decenni di clausura

e chiedano al mondo

uno stralcio di visibilità

non pagata…


(da Statue)



“FILI D’ERBA”



Le mani


Le mani

tremano come bambine

spaventate dal ritmo

delle prime emozioni.


La sera placa gli affanni

e i tremori superflui.


La notte è un palcoscenico

di carezze all’amico

che legge e ringrazia

con la pazienza di una cara

elusione: “per leggerti,

ci vuole una vita,

il mio giudizio,

lo troverai in Paradiso…”



Per un pugno di sonno


Per un pugno di sonno

venderei la memoria:

è un magnetofono

consumato dagli anni:

registra sbagli e bugie,

amplifica le notizie

che ci aggrediscono

ora per ora, giorno per giorno,

disturbando il silenzio

che si apre tra le note

serene o svagate

di un diario che riporta

episodi e frasi d’autore…

Il silenzio creativo

non è una bravata,

è una sorpresa

che anticipa il sonno,

smorzando i commenti

fino all’impercettibilità

degli impulsi emotivi…




La tristezza è un malanno


La tristezza è un malanno,

un peccato mortale,

uccide l’anima,

mortifica il corpo.”


Mi scuso e giustifico:

l’ora triste

non dipende dalla mia volontà,

è il frutto di muti disagi

che umiliano il canto

e offendono la memoria…”


Ognuno riceve

il suo piccolo sole:

si accende e si spegne

senza disturbare le mani,

rischiara il diario invisibile,

lo straccia, lo abbaglia,

lo brucia incolpando la luna

o la lampada da comodino,

testimone, gendarme

delle tue veglie.”



Disordine nella bellezza


Disordine nella bellezza.

Disordine nella vecchiaia.

Lo sguardo si specchia

nelle parole,

onde della memoria,

tremolii, balbettii,

bestemmie velate

e poi preci, atti di contrizione,

spunti rapidi di riflessione,

di rinuncia, di attesa…


Gli appunti hanno il decoro del vecchio

che riceve i parenti,

una volta alla settimana.

Il malessere si converte alla stasi.

Il turbamento si rassegna

alla sintesi dei commenti:

ma che bello, che giovane,

che disgrazia invecchiare

e leggere la propria vecchiaia

a chi conta i minuti

che volano tra il benvenuto

e il congedo…



“SILLABE INDIPENDENTI”



La memoria è un’orchestra


La memoria è un’orchestra

o una corda tradita.


Il pulpito e il podio

hanno l’altezza dei simboli,

l’inchiostro dei paradossi…


Troppo alti

per ascoltare la terra…


Troppo bassi

per orchestrare i sussurri

e le nuvole indipendenti…



Ali povere


Ali povere.

Per non dire concrete.


Volano sopra i ricordi,

sopra l’inchiostro anemico

dei documenti.


Chi vola

lascia cadere una firma,

una sterile interiezione

sulla topografia romanzata

delle storie a noleggio…



Tre righe di assuefazione


Tre righe di assuefazione.


L’amore ambiguo

che mi unisce alla storia.


La simpatica antipatia

che mi lega alla gente –

stupida e intelligente –

che mette in vetrina la storia

oltre i parametri della decenza…


La storia è un romanzo,

la prefazione è una delega

al pensiero di Dio…



“ARIA DI PROSA”



Neve


Le nuvole e le faville

vanno agli eredi lontani –

eredi di un verso,

di una lacrima riguardosa –

di uno sguardo enigmatico

come le cime

che si schermiscono

come vecchie bambine

mentre la cartolina lavora –

quinta insensibile –

nel palcoscenico

delle scadenze.



Heiterkeit


Voleva essere un aforisma

e la stanchezza

l’ha convertito

al mistero…


Voleva essere un’abitudine,

una macchia

in un mare di panna…


E il cielo

ha trasmesso

un ricamo di nuvole…


Voleva essere una postilla.

E la rima è spuntata –

nel cuore del testamento –

in punta di prosa

per non svegliare il censore,

l’esegeta che dorme

come l’angelo

del primo dono.




“BLADES OF GRASS”


(translated by Mark Brady)



Believe me


Believe me, the best prize

is a calm awakening,

an unforeseen stop

on the edge of a symbolic world –

only clouds,, no words,

stubborn explanations

on the conjugations of being

that gladly hide

under the pillow

ignoring the slaps

of secular juries…



They climb the bridges


They climb the bridges

gasping, dragging

an array of luggage –

impedimenta they call it –

whose wheels are enemies

of the old steps…


Where are you returning from?

The sea or the mountains?


You’re tired, ladies, I know,

but I cannot help you.


I used to be kind.

Now I grumble like a loser,

I use the muscles of speech

to lift the weight of the seasons…



You were as Baroque


You were as Baroque

as an altar.


You were the double

of a silver candelabrum –

the arms adhered to the etiquette

of pompous gestures.


Autumn constrains you

to the peace of ornaments…


Life is not an abstraction,

it is the simplification

of gestures and words

suggested by the chance

of seeking shorter names –

bisyllables, monosyllables

with an infinite heart…



The scholar sings


The scholar sings

as at twenty,

loves as at sixty,

does not translate the uncase

of he who loses his hair

and finds it

on the head

of a model –

a poem

that flattens the waves

of old rancours…



For a fistful of sleep


For a fistful of sleep

I’d sell my memory:

it’s a tape-recorder

worn by the years –

it records mistakes and lies,

amplifies the news

that assails us

hour after hour, day after day,

disrupting the silence

that opens up between the notes,

serene or distracted,

of a diary reporting

episodes and phrases d’auteur…

Creative silence

is not a stunt,

it’s a surprise

that comes before sleep,

muffling your comments

down to the imperceptibility

of emotive impulses…



A music-lover


A music-lover

with literary pretensions

compares the sylloge

of his rival

to an operetta with no finale,

to a divertimento

that does not amuse,

to a grand-opéra

discarded by the impresario

because there’s no ballet,

because its acts are shorter

than official acts,

because the last act

corresponds to a postponement

whose length depends

on God’s thought…



Once upon a time


Once upon a time there was poetry –

I remember it handsome and exhausted

like Hyacinth in the arms

of Apollo, mythological – or rather pagan –

pietà, the emblem and shame

of a handbook of love…



Books more books


Books, more books –

reclining, lying, crooked,

books that sleep,

like horses, standing up…

the foals sleep

like kittens…


Books twisted like the years,

like the leaps

of memory…


Books as monotonous

as the struggles

of inhibited poets…


Books as docile

as ideas

wedded to idleness…


Books that support each other

with mutual love

to get a diploma

in social equilibrium…



Between sleep and light


Between sleep and light

bloom the boldest

verses…


They are shudders for no reason.

They are crumbs of false

memories…


I yawn.

You sleep in episodes.

One line of sleep.

Another of action…



Proud of its stalk


Proud of its stalk,

a bit bent but slim,

it’s ashamed of its flower

that wearies the image

and completes the portrait

whit the synthesis of an epigram,

whit the impetus of a slander…

Sunflower face”,

they call him. The sunflower

puts on his glasses

and thanks the light

that animates irony,

pearl of flowers

metaphorical and human.


He’s mistaken sunflower:

he awaits the moon

to resemble himself,

or rather no-one.