La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Alfonso Gatto


 

Alfonso Gatto è nato a Salerno nel 1909. Trasferitosi a Milano nel 1934, con gli amici Zavattini, Sinisgalli, Cantatore frequentava i caffè cittadini: di notte il "Savini" e nel pomeriggio "Le Tre Marie". Dapprima commesso di libreria, in seguito istitutore di collegio, correttore di bozze, giornalista, insegnante, nel 1936 viene arrestato per antifascismo e incarcerato a San Vittore. Nel 1938, con la collaborazione di Pratolini, fonda la rivista “Campo di Marte”, la rivista dell’ermetismo fiorentino. Nel 1944, iscrittosi al PCI, inizia a collaborare a “Rinascita” e dopo la liberazione di Milano nell'aprile 1945 a  “l'Unità”, di cui diventa poi inviato speciale. Nel 1951 si dimette dal partito e diventa un comunista "dissidente”, secondo la sua definizione. Muore per le conseguenze di un incidente di macchina a Grosseto nel 1976. I suoi libri di poesie: Isola (1932), Morto ai paesi (1937), Poesie (1939, nuova edizione,1943), L'allodola (1943), La spiaggia dei poveri (1944), Amore della vita (1944), La spiaggia dei poveri (1944, nuova edizione 1996), Il sigaro di fuoco. Poesie per bambini (1945), Il capo sulla neve (1947), Nuove poesie 1941-49 (1949), La forza degli occhi (1954), La madre e la morte (1959), Poesie 1929-41 (1961), Osteria flegrea (1962), La storia delle vittime (1966), Rime di viaggio per la terra dipinta (1969), Poesie 1929-69 (1972), Poesie d'amore (1973), Lapide 1975 ed altre cose (1976), Desinenze (1977), Poesie (1998),Tutte le poesie (2005). I suoi libri di prosa: La sposa bambina (1943, nuove edizioni 1963 e 1994), La coda di paglia (1948, nuova edizione 1995), Carlomagno nella grotta. Questioni meridionali (1962, nuove edizioni 1974 e 1993), Le ore piccole (note e noterelle) (1975), Parole a un pubblico immaginario e altre prose (1996), Il signor Mezzogiorno (1996), Il pallone rosso di Golia. Prose disperse e rare e l'inedito «Bagaglio presso» (1997), L'aria e altre prose (2000), Diario d'un poeta (2001), La pecora nera (2001), La palla al balzo - un poeta allo stadio (2006). Di teatro: Il duello (1944, nuova edizione 1995).

 

Web                 http://www.alfonsogatto.org/

Wikipedia        https://it.wikipedia.org/wiki/Alfonso_Gatto

 

POESIE

 

da Tutte le poesie

 

Alba a Sorrento

Al freddo stretto i limoni movevano la luna d’alba

prossima ad esalare scialba nel cielo dei portoni.

Sulla finestra a grate, tra i rami d’arancio

portava il vento uno slancio di polle rosate:

i gerani smorti dal gelo trepidavano d’aria

sotto l’arcata solitaria illuminata dal cielo.

 

Ai monti pallidi d’ali sorgevano voci remote,

per strada le ruote dei primi carri, i fanali

tenui nel vetro dell’aria, trasparenza del verde

fresco delle persiane; lungo i cancelli

il sole era un caldo cane addormentato tra i monelli.

 

 

Lelio

 

La tua tomba, bambino,

vogliamo sia sbiancata

come una cameretta

e che vi sia un giardino

d’intorno e l’incantata

pace d’una zappetta.

 

Era un dolce rumore

che tu lasciavi al giorno

quel cernere la ghiaia

azzurra e al suo colore

trovar celeste intorno

la sera. Ora, che appaia

 

la luna e del suo vento

lasci più solo il mondo,

ci sembrerà d’udire

nell’aria il tuo lamento.

Era un tuo grido a fondo

l’infanzia, un rifiorire…

 

Inventaci la morte,

o bambino, i tuoi segni

come d’un gioco infranto

rimasero alla sorte

del vento, ai suoi disegni

di nuvole e di pianto.

 

Ogni giorno che passa

è un ricadere brullo

nell’ombra che c’invita.

Irrompi a testa bassa

nel ridere, fanciullo,

devastaci la vita

un’altra volta e vivi.

 

 

Hanno sparato a mezzanotte

 

Hanno sparato a mezzanotte,

ho udito il ragazzo cadere sulla neve

e la neve coprirlo senza un nome.

 

Guardare i morti alla città rimane

e illividire sotto il cielo. All’alba,

con la neve cadente dai frontoni,

dai fili neri, sempre più rovina

accasciata di schianto sulla madre

che carponi s’abbevera a quegli occhi

ghiacci del figlio, a quei capelli sciolti

nei fiumi azzurri della primavera.

 

 

Colpa

 

Alle mani di freddo la ringhiera

le scale in sogno,

ci parve l’ultima sera.

Io mi dicevo ch’ero stato buono

tutta la vita

ma a chiedere perdono

salivo in sogno.

 

Qualcosa nel mondo accadrà

per colpa dei nostri pensieri,

qualcosa nel mondo è accaduto

di quel che fummo ieri.

 

Credevo di portare in dono

le mani a dirmi ch’ero buono.

Erano là i più forti,

forti dei nostri torti

i terribili morti.

 

 

Soldati

 

Al lampo delle ringhiere

fiammanti chicchirichì

i soldati dicono di sì

con tutti i piedi.

 

La chiave giusta

d’ogni suo dente

la chiave che gusta

il giro mordente

e terra ch’è terra

vivaddio d’un comando.

 

Solo una voce che non disse nulla

fu sola la voce, ma quando?

 

O voi che passate,

in ogni tempo una culla

porta un bambino innocente.

 

O voi che morite per niente,

fu sola la voce.

 

E chiodi e galli e patrie levate

e soldati di sì per una croce?

 

 

Sicilia 1948

 

I nostri paesi in guerra

si gemmano di sale.

Il cavaliere del cielo

è un’ombra sulla terra

del grande piazzale.

L’afa, una voce che s’è fermata:

la morte nera sboccata.

Il canto s’è visto tacere

il canto s’è visto cadere.

 

Sola con sé povera cosa

la morte afosa,

la morte che non riposa.

Viva il re.

Nei secoli fedele

la mosca sul miele.

 

 

Sotto i colpi della sepoltura

 

Ora si muove il carro della frana

e l’annuncia gridando senza voce

madre, piccola madre, la tua vana

figura

 

alla giusta fermezza del muretto,

alla sera di pietra, ad ogni cosa

lieta di sé nel porgere l’usura

del tetto.

 

È il saldo della croce

alla terra compatta, alla scodella.

Ogni cosa dicevi si fa bella

saldandosi al contento della cosa.

 

Al vivido ruinosa

scarica nell’abbaglio la sua frana

l’alpe silente.

Tu sei lontana,

porta chiusa, niente.

 

Morta senza voce.

È il saldo della croce.

 

 

Cratere marino

 

Il nulla consumato come il tutto

d’un ceppo che rapprende tempo e scorza,

e la sabbia, la creta del costrutto

ch’è del deserto vivere la forza

obliosa, il ricordo, la stesura:

questo, ti dissi, bolla di cratere

e falcata marina, è l’occhio aperto

dal profondo alla mèsse di paura

che pùllula flessuosa dalle nere

pupille d’ogni germe, nell’incerto

guizzo di traccia al tremolìo silente.

Il tutto consumato come il niente,

l’essere a voce l’attimo che desta

il tonfo, la voragine del mare.

E l’uscire dal sòffoco di testa,

le mani tese quanto più sgomente.

Così la vita è sempre l’affermare

una salvezza disperata, urgente.

 

 

Isola

 

Avvicinarsi all’isola, a quel soffio

marino ch’è nel lascito del cielo,

e scoprirla di pietra, di silenzio

nell’agrore dell’erba, nel relitto

del làstrico squamato dai suoi scisti:

questo è rabbrividire sul mio nome

improvviso nel mònito del vento.

Più nessuno lo chiama, e l’esser solo

a scala del mio sorgere, riemerso

dal mio sparire all’avvistarmi, è spazio

che l’aperto raggiunge per fermare,

per chiudere alla stretta del suo scoglio.

Il viaggio, l’amore, in quell’arrivo

fermano il conto e il tempo, nello spazio

il nome nel raggiungermi mi chiude.