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Resteranno le mie parole
quando non ci vedremo più.
Brilleranno al sole
come i miei capelli,
che non potrai accarezzare.
Rosse fiammelle
nel buio che ci dividerà,
rosse azzurre, fresche,
per l’arsura di un bacio impossibile.
Nei freddi risvegli
e negli opachi tramonti
i ritmi creati per te
saranno morbido mantello,
talismano da stringere,
nenia consolatrice.
Ci vestiremo di versi
come di carezze
e per una volta ancora
la poesia si farà amore
e ci salverà.
Risorgeranno parole:
tenui filami nella giungla dei suoni
pulsanti foglie nuove
timide parole
nella notte elettronica
riscoperti battiti ancestrali
guizzanti nel gregge stordito assordato
risorgeranno parole
e si faranno
nel silenzio
pensiero.
S’incurva ogni cosa
nel suo ciclo:
traluce e spunta
cresce e risplende
(a volte abbaglia e brucia),
poi s’appanna e muore.
Meteora è la vita
che passa e ci trafigge.
Resta però la scia
di parole luminose.
Quel cielo blu tagliato dalle tegole
quel blu cobalto indefinibile
che va giù a chiudersi tra i tetti
scuro scuro
oh se potessi sorvolarlo lieve
quel cielo blu cobalto
sordo alle luci e ai passi
oh se potessi trapassarlo lieve
ed affacciarmi dietro
la sua cortina di segreto
e per un attimo, solo, capire…
quel cielo blu velluto senza stelle
che tutti unisce e che nessuno guarda
potessi farmene mantello
per volare.
Sento la vita che mi scoppia dentro
acqua azzurra che si espande
e ingrossa gli argini del cuore
erba verde con bocci colorati
fragranti come mani tese
a spezzare insieme il pane dei giorni
vita
vita che mi provoca
mi culla
e poi mi annulla
mi cala nel buio a rincorrere voci
e poi mi spiazza con i suoi arcobaleni
vita da afferrare
e inafferrabile
doloroso meandro
dove perdersi con gioia.
Va da sé la storia,
il mondo, le cose.
Ma non si spiegano.
Anzi, ci pongono domande.
E’ inutile scrutare il cielo,
fissare indietro e avanti,
rileggere gli eventi
cercando la nota a piè di pagina,
l’asterisco rivelatore…
E’ dentro noi
la verità, lo specchio,
l’unica vera grazia.
Vorrei piantare parole,
come piantine grasse innestarle
in vasetti,
accomodarle piano
nella terra di tutti,
vederle germogliare
accanto al muro dei sogni
con ogni giorno una lacrima
e una stilla di sole.
Nell’aria di tutti far crescere
echi flessuosi di versi,
dare ed essere
voce
del sangue gioioso e disperato,
piantare parole vorrei,
come una croce di fiori.
Per i quadri “Tacita” di Giampaolo Talani
Tacitamente parlano le cose
proiettano luce dal silenzio
appoggiate al bordo della vita
evocano i suoni del pensiero…
Si apre piano la cerniera
che chiude i sogni prigionieri:
si accende di colori la barchetta
di carta lieve come petalo di rosa,
si svela ora il dilemma,
per un attimo si vola
liberi
nel cielo tra le stelle
o al sole caldo di quel grande amore…
Ma un gatto è lì, sorveglia la tua rosa,
rischia di far di te un burattino:
si apre o si chiude la mano tra le cose,
silenziose guanciali ai tuoi respiri?
Emerge un volto dal fondo del profondo
dove ha lottato a lungo nel salmastro,
afferra il filo rosso, stringe la sua spina:
vince la rosa sempre, anche se appassita,
si adagia nella bocca,
nel fiato silenzioso del dolore,
nel sussurro leggero dell’amore.
L’occhio dei poeti guarda lontano
l’occhio dei poeti vede nel buio
non si perde
l’occhio dei poeti sa la direzione
buca le mura di gesso
le porte blindate dei cuori
l’occhio dei poeti non si stanca
è inarrestabile vento
imprendibile sguardo
tutto a sé trascina
barca nel tremolio della vita
lieve ventaglio
nell’afa uggiosa
sorriso che prorompe
risata, scherno, scarto dalla norma,
libertà assurda ed assoluta.
L’occhio dei poeti
non perderlo di vista :
perditi con loro,
guardalo e ti ritroverai.
Cosa mai fare per sentirsi vivi?
già e sempre risuona il dubbio di Amleto:
…to die, to sleep, no more..
…or to take arms against a sea of troubles
and, by opposing, end them?..
…to die to sleep, no more…
No - risponde Virginia -
la carne mia si ribella
ad un’urna di pietra da viva:
sono la sorella di Shakespeare,
quella che vuole
“una stanza tutta per sé”,
una penna che scriva
le gocce di sangue e di sole,
una bocca che schiuda pensieri
colorati, sdegnati, ritmati,
slogan da stadio da sussurrare
all’orecchio del cuore…
Avvolta da una bandiera-barriera,
incatenata ai miei versi,
brucerò sul rogo dei folli,
lanciando scintille nel cielo del tempo,
piuttosto che essere cenere
che arde senza calore.
Sempre qualcosa ci divide
sempre qualcosa ci unisce
da ricercare nel vuoto, nello spazio muto
dei minuti assenti, privi di tatto...
viviamo sospesi,
appesi all’amo
di parole perse nella galassia cibernetica,
per un attimo premiati da una stella,
microluce di messaggio
e poi di nuovo risucchiati,
chiusi, serrati nella stiva delle ore vere
e non virtuali
vitanauti senza volante
nè patente,
nella scia di correnti calde, fredde,
- a volte coraggiosi controcorrente -
temponauti con troppi orologi
ma nessuna clessidra
che ci mostri la sabbia dei secondi
lo scintillante gioco dei granelli...
cosmos e caos ci avvolgono,
ci turbano, intrigano le piste,
si fa deserto il mare
e siamo soli sempre
senza una mano che ci dica
‘amore, vieni’.
A Nicoletta Innocenti
La vita ha un suo soffio gentile
anche quando graffia,
squarta la carne del cuore
inopinatamente arriva,
temporale estivo
scuote le radici
le tenere gemme spazza,
rivolta la terra dove
fino allora camminavamo lieti,
la vita è un usuraio
nascosto nelle pieghe dei sorrisi
ed ogni tanto ti presenta il conto da saldare,
senza ‘ratio’ che tenga
senza scampo se non
nella forza accumulata
negli anni e negli affetti,
in quello che si è dato
e ancora siamo pronti a dare
senza assegni firmati,
‘sine ulla’ certezza,
strappando a morsi
un pane residuo di speranza
risucchiando molliche rare di gioia,
di fede in quel soffio gentile
che resiste nel vento
degli incontri.
Per l’opera di Walter Valentini
È un pannello di note arricciate,
un’azzurra calata di vite rapprese
sulla soglia del vuoto
o nel pieno di una storia voluta…
un invito alla vita
da raschiare con unghie mozzate
eppure ricrescenti e affilate:
noi, fili tesi e inchiodati,
smarriti ed obliqui,
eppure protesi
a cercare armonie
a intrecciarsi sghimbesci
schivando meteore impazzite,
cercando la luce ,
la luce che fiat lux
per il nostro rettangolo chiaro
per quel segmento divenuto
d’improvviso
infinito.
Per il quadro di Fiorella Pierobon “Goldenwave”
Sale o discende
la raggiera di onde
che si apre nell’ora screziato della vita?
Rughe di cammino percorso
sciando a valle
oppure in risalita?
È cima che appare e scompare ogni meta,
e si increspa ad un tratto la liscia superficie,
concava o convessa,
eppure apre un sentiero
che il piede dell’anima percorre,
a volte scalzo, arso di sudore
come se fosse luce di deserto
ad annebbiare distanze,
indicazioni nel dorato solco...
unica misura
l’ago di bussola del cuore.
La scelta delle via
è oro colato su stigmate ruvide di pianto,
tensione impastata di gioia
di fronte alla radura di riscoperte certezze,
pronti a ripartire
per una nuova oasi da cercare.
giovani agghindati nei jeans firmati o sbrindellati,
civettuole adolescenti con mini borsine
a cercare una noce di fresca avventura
per occhi truccati di mandorla inquieta,
giovani a gruppi, vocianti,
salgono e scendono da macchine super
si scambiano sms
a dissipare paghette in happy hour frastornanti,
pur di fermare una luce d’incontro non solo virtuale.
E’ tutta loro la via,
la città si svuota di affaccendati passanti
si ferma il ‘labor’, è ora di s-vago,
pausa extra-vagante
tra pietre su cui hanno posto mani e passi i loro antenati,
nomi e volti alieni di marziani scomparsi,
lapidi ignote nascoste su negli antichi palazzi
dove non si alza lo sguardo,
ma si comincia ad ‘errare’
per una bevuta di troppo
e forse c’è tutto in tasca e nel cuore
tranne la carta d’identità cittadina,
il biglietto d’ingresso per un gioiello
non esposto in griffate vetrine
ma nelle stanze dell’arte, in cattedrali di storia,
che farebbero ‘sballare’ davvero
per il dramma della loro estrema, eterna bellezza....
Giovani d’oggi,
splendidi fiori nati in mezzo all’asfalto,
forze rombanti di tenerezza,
pronti alla ‘pugna’, non sapendo per chi e per cosa,
nucleo rabbioso di creatività
bruciato in un fuoco di solitudine,
frustrato dalle profezie di paura,
crediamo al domani,
alla pianta frondosa del nostro futuro,
crediamo al trattore del cuore,
alla vanga paziente della speranza.
Giovani di oggi,
pianticelle dell’orto sociale,
dove cresce anche gramigna,
scusate la mia paternale,
scrivete messaggini d’incontro alla vita reale.
A Marco
Chi salverà la musica?e la bellezza ? e l’amore?
dovremo raschiarci le vene
invece di bucarle,
riempire ceste di abbracci
per stenderli al sole
come le nostre anime sgualcite,
un bucato di tenerezza senza ammorbidente,
tuffo nel calore del sangue,
ricercare i pezzi sbruciacchiati
e ricomporre la mappa delle case,
cercare la parete nascosta dove appare
ancora un lare, una domestica fiaccola
che inanelli i cuori,
trovare una risposta
al dubbio che raggela,
mentre tanto era stato l’impegno,
la passione nel formare una vita,
nel plasmare una creta partorita
con mani che si credevano esperte
e sono su se stesse scivolate...
Chi salverà la speranza,
l’armonia, l’essere dell’essere,
il silenzioso battere all’unisono
al centro del cosmo dentro un guscio di gioia,
vascello in un soffio ringhiottito,
chi salverà la bussola, l’arco teso
della voglia di creare
e
sommerso nel baccano mediatico.
freccia che pur si slancia luminosa
ma nessuno più ne guarda la coda di cometa,
chi salverà dal perdersi nel caos,
chi salverà il cosmos?
Per la RESURREZIONE di Piero della Francesca
Sansepolcro
La nuova vita
che si appoggia fiera
a se stessa
dalla ferita innalza
la croce della fede ritrovata
s’incarna di luce
di alberi rinati
dai rami scarni rifioriscono
le foglie.
E’ l’alba rosa
che sconfigge i sogni viola,
il pianto disperato, la paura,
il sonno irrazionale e abbandonato,
ridona all’umano simmetria.
Trionfa regale sulla linea di marmo
e tutti avvolge come una bandiera
lo sguardo di Cristo che sicuro scruta:
il braccio teso al cielo
è un inno chiaro.
Rinasce il giorno, il seme, la speranza,
più vicino è il riscatto,
l’alba vera.