Raffaela Fazio è nata ad Arezzo nel 1971 e vive a Roma, città in cui si è stabilita per lavoro dopo aver vissuto in vari paesi europei dal 1990 al 1999 (Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Belgio). Laureata in lingue e politiche europee (Grenoble) e specializzata in interpretariato (Ginevra), ha poi conseguito un diploma in scienze religiose ed un master in beni culturali della Chiesa (Roma), interessandosi in particolare all’iconografia cristiana. Dopo una primissima raccolta di poesie giovanili intitolata “Corolle” (1987 - Premio Giuseppe Dessì), ha pubblicato “Per ogni cosa incompiuta” (2008), “A un filo più lento” (2010), “Ogni onda è il mare. Rime da regalare” (2011), “A garante il mistero” (2012), “La boîte” (2013), “L’arte di cadere” (2015).
Email raffaela.fazio@gmail.com
POESIE
Si leva il giorno:
si fa accadimento.
Io ti aspetto
come il muro che ricorda il sole
e inganna con l’ombra
il suo spostamento.
***
Ben venga l’urto
che scuote il boccale
e versa l’ombra dal bordo effigiato.
Ben venga il vento
e mi faccia scordare
che il mio passo vacilla
ma ha un orlo piombato.
***
Piantato contro i loquaci
mi piace
l’albero che non prende forma
ma segue il respiro del cielo
e del cielo culla
instancabile
l’orma.
***
Ho cento modi per chiamare.
Con un fiocco
un neo
un profumo di stagione.
Gli uomini miei simili
rispondono al mio cenno.
Solo gli alberi del parco
non lo fanno.
Quando li chiamo
-se chiamo e sono altrove-
nulla si muove.
Come fiutassero
un vuoto
una finzione.
***
Tardi ormai si è piegato
il glicine sui pergolati.
O troppo in fretta
il profumo
ci ha incontrati.
Come il silenzio che precorre il suono
e ne fa superfluo il ricatto.
***
Ogni cosa ha il suo sogno
e il suo modo di offrirsi.
Quando è verde
dà profumo la legna.
Quando è secca si spacca
e poi arde.
***
Ci sono volti come vicoli ciechi.
Ma dietro a portoni biechi
in fondo a scurrili androni
sgambetta lucente l’assoluzione
di un cortile.
E dopo notti d’insospettate abiure
dal chiuso della carne
in punta agli scuri
di colpo s’apre il lucore
disadorno
della neve.
***
Io cerco
Quando ti parlo
e mi rispondi e mi parli
e ti rispondo e ti offro la colazione
io cerco
parole
dai polsini puliti
cerco in pensieri finiti
la precisione.
Ma se ti guardo e ti parlo
e mi parli e ti ascolto
e mi guardi
io vedo
che c’è un angolo cieco
e persino
nella parola più esatta
un’eco sconnessa
che non si fa riflesso
perché sempre
quando di noi mi parlo
mezza manica
fuoriesce dal cassetto.
***
Postulato
Nel tempo, dici, non c’è usura.
Dici che il tempo neppure esiste.
Ma di una cosa sono sicura:
noi siamo vivi, fatti di tempo
e il tempo è fatto a nostra misura.
***
Nel fare
Nel bozzolo del baco
nel tendine che sposa
un’altra estremità
è il lavorio che preme:
non solo preannuncia ma già fa.
E il segno d’ogni uomo
s’invera nell’azione
seppure ogni stagione
ecceda il germogliare
il senso la pronuncia
e amore il fare.
***
Clueless
Se fosse come al tatto
distinguere un cappotto
o già intuire il frutto se maturo
ti staccherei dal gancio o dal tuo ramo
e me ne andrei così, senza pensieri.
Ma prima dell’evento
non c’è indizio.
E ciò che accade accade in un momento
che al compiersi rivela il suo sapore.
È questa la saggezza del destino:
non può mai dirci il tempo
se è propizio.
***
Never-ending
Anche se hai mille fanti
chiamami. O mille amanti.
O nomi.
Chiamami
anche se è finita l’impresa
e la sorte si finge decisa.
Ma diversamente
chiamami
da come vorrei.
Chiamami anche se non capissi
che lo stai già facendo
o mai smettessi
di arrivare
in Te.
***
Clairière
Alla fine
è forse il destino di ogni uomo
diradarsi
come un bosco
quando rimane in vista
una cosa sola
contro il cedevole orizzonte
e offrire proprio quella
al mondo e al cielo
come si offre a un padre
la fronte.
***
Post-it
Mi sfugge qualcosa
del tempo.
E anche di me.
Così attacco qua e là
spazi bianchi pro-memoria
con su scritto:
“felicità”.
***
Sans repère
È come un occhio di bambino
questo dolore aperto al mondo.
Preciso ma inesperto.
Non ha fardello né bottino
o scala di misura.
Ricorda ogni disegno
di calzino
ma (sbaglio grossolano)
confonde
chi arriva da lontano
se non gli è ormai vicino.
***
Salirà
Salirà
vedi già sale
sul pendio più erboso
questa docile mandria
di preghiere.
Salirà
vedi già sale
su tortuose scale
la fedeltà alle cose
con la giara
piena.
Salirà
vedi già è qua
la scintilla in cerca
della sua matrice
come adesso
alla tua bocca
sale
il mio silenzio audace
e là trova
oltre il buio
la sua pietra focaia
la sua pace.
***
Io sono
la punta dell’iceberg boreale
e sotto
ci sono ancora io
ma con un altro pronome personale.
***
Vorrei con tutto il corpo
dispiegato alla conquista
ghermire in te qualcosa
che non è più materia
e più non si esaurisce- viatico
magnifico.
Ma insieme attrarre a me
con la più rarefatta particella
del mio dire
il carico carnale
del tuo peso specifico.
***
Fanno le prove
le ombre
di giorno nelle piazze.
Ma è ancora
un rozzo strimpellare
troppo attaccato ai corpi
di cani panche tronchi
viaggiatori.
Fanno le prove
là fuori e non so dove.
S’inarcano
tentando di imitare
lo spazio che spostavi
nel restare
e il posto
del mio posarti accanto
un po’ di me.
Fanno le prove
le ombre di quartiere.
E intanto
sono belle, più sicure.
Aspettano pazienti che anch’io parta.
Sarà un concerto
-lo sento-
in nostro onore.
***
Non è facile lasciarlo
E ci è caro
per il tempo il retrogusto della cura
che ogni volta un po’ lo aggiusta
(o fiocco o limatura, un altro tocco)
per la mimesi col moto delle cose
e il riparo che ci chiede
sotto voce.
In pendenza ci giochiamo
come peso
baricentro
che ritorna
o un guaito dietro l’uscio
che ci sveglia.
Non è facile lasciarlo.
È un pensiero.
E ci aspetta per entrare.
Ma il suo nome vero
è Sbaglio.
***
Dammi pure le tue cento ragioni
per finirla.
Tra sedimentazioni e faglie
passati mille anni si vedrà
che ero io dentro il tuo cuore
questo fossile di drago
ancora nella posa dell’amore
e i discendenti dei figli di tuo figlio
penseranno:
com’era carino e sfortunato
questo drago salta fossi
legato per la zampa al suo destino
da un trefolo di spago.
***
Faccio ripartire
il viaggio
il racconto di un viso
che non ho più toccato
il giorno
che è finito.
Lo faccio ripartire
da un attimo preciso.
Poi sposto quel momento come fosse
la punta di un compasso
per vedere
con uguale raggio
il mutare del disegno
e del coraggio con cui s’ingegna
la memoria
nel fare dei suoi chiusi passi
una danza di vittoria.
***
All’indietro
ti penso
come uno svenire
un dolce crollo
senza fine.
E la caduta può iniziare
da un mignolo una spalla
una parte qualsiasi del corpo
che verso te s’invola
a peso morto.
***
Consigli per quando mi pensi
Conserva le mie anche
a temperatura ambiente
il corpo nel verso giusto
(con la testa
rivolta al presente)
ma le labbra vanno riposte
un poco dischiuse
nel buio appena torchiato
nell’attesa
nel mosto.
***
Ci unisce
la materia
libera coerente nel passaggio
tra i suoi stati
indifferente si direbbe ai nomi
agile docile alle circostanze.
Così la vera scienza
sarebbe casomai capire
se amore sia sostanza
uguale
sulle cime e in un cratere
tra i pori di una foglia e a mezz’aria
oppure
se sia forma
che divide e in sé si spezza
si staglia come neve lago nube
e bella non condona
nell’altro e nell’altrove la bellezza.
***
(per i miei bambini)
Adesso e quando crescerete
e mi vorrete e non vorrete
sappiate solo
che per quanto a volte lo crediate
cieco senza affaccio
ormai insufficiente al vostro volo
per voi avrà il mio cuore
in ogni istante
un amore mangereccio
più una gattaiola basculante.
***
I disegni dei bambini
Si vede dalla loro grazia.
Non è semplice assenza di perizia
ma gaia reticenza.
È il senso naturale di giustizia
nel fare il mondo come lui vorrebbe
perché di nuovo viva
pieno di sbagli e vero
slegato dalle abili finzioni
di una prospettiva
che in quanto tale
si dice tesa all’infinito
ma resta poi solo parziale.
***
Camouflage
Ti scordo spesso mio Dio lo confesso.
Eppure per te
ho un amore piovasco.
È al sole, all’asciutto
che con tutto ti confondo.
Ti confondo anche col passo
che riesco
a sopportare
se pecco
per sfasata imitazione.
Del tuo infinito arboreggiare
mi credo propaggine bislacca.
Ma altro non sono
che il Finito perfetto:
sulla tua frondosa
amorosa
Alterità
insetto stecco.
***
Se un giorno non sapessi più ascoltare
lavora
Dio
alle mie mani
rendile capaci di adeguarsi
al ruvido al fragile all’inarrestabile.
Per aiutare
la mia ricognizione
spargi qualche tuo avanzo festivo
e tra l’uscio e il pozzo
appendi
una spiovente costellazione
di anime
da toccare dal vivo.