IL “TRASLOCO” DI CRIVELLARO

IL “TRASLOCO” DI CRIVELLARO

Dal confronto con la realtà e dalla sua esperienza di vita, comprese le delusioni e le sconfitte, Luigi Crivellaro esce con la volontà di dare testimonianza delle aporie del mondo attraverso la poesia: In Trasloco (Biblioteca dei Leoni). Una poesia che è volta ad opporre il segno della ragione non solo e non tanto alla crudeltà degli uomini e delle loro azioni (“siamo anche delle discrete canaglie”), ma alla sordità indifferente e alla miopia egoista. Parlando della dimensione esistenziale di Crivellaro (“l’idea d’esser vivo”), a maggior ragione va definita la sua come una poesia del “testimone”; tra adesioni e ripulse, accensioni e ricadute, da parte di chi comunque sa che bisogna andare avanti. Il poeta è il testimone in viaggio, anche se il viaggio è un pretesto a posteriori e le sue tappe confinano con le contrade oscure del tempo e dello spazio (“nell’abbaglio del creato”), termini ineludibili tuttavia fissati con lucidità e perfino con autoironia. La raccolta, scegliendo nel folto dei discorsi quotidiani (la casa, gli incontri, i rapporti), dà rilievo di immagini e irripetibilità alla presa di posizione dell’uomo nei confronti di se stesso e del mondo. Per cui la disposizione etica del poeta ha spazio lirico e il suo atteggiamento morale ha misura di canto, in queste pagine rastremate e tanto più intense nella loro fulminante concentrazione. Col tempo, la vena illuministica si è andata evidenziando. Così, sullo specchio delle personali reazioni e inclinazioni, si disegna anche la radiografia dell’altro da sé, al passo di una matrice della letteratura come parola dell’uomo. In questo senso, definito appunto illuministico, la poesia di Crivellaro ha accentuato la sua portata in qualche modo “filosofica” a partire da un certo momento in poi, organizzandosi  anche in forma esteriore come possibile “contenitore scientifico” volto a indagare per curiosità e per dubbi (per esempio i suoi Sermoni) la realtà della vita e del mondo, oltre e dentro il grande silenzio che ci assedia. Una realtà che, magari indefinibile nella sua essenza ultima e decisiva (“universale e generale domina / una fallace relatività”), comunque appare indagata per spicchi e settori (“non per fare ricerca astratta”) dietro al bisogno di conoscenza che assilla e trascina l’uomo e dietro anche ai segnali che partono dalle cose stesse. L’autore, ben consapevole della particolare condizione di chi vuol farsi poeta, portatore cioè di parole e di messaggi, non sente affatto esauste le risorse comunicative dell’uomo contemporaneo. Perciò è naturalmente portato a dilatare il suo discorso, ben inteso dentro l’orizzonte ben preciso dei limiti umani, fino ai campi generali e agli universali cognitivi come quelli della “storia” o del “tempo”; in una chiave appunto illuministica, in cui l’intelligenza è costantemente l’altra faccia della sensibilità e la scrittura, precisa e minuta, il complemento di una disposizione all’immaginazione.

Paolo Ruffilli

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