‘I GIORNI’ DI VAN TOORN

‘I GIORNI’ DI VAN TOORN

Anni fa, ho curato un libro di poesie di Willem van Toorn: Paesaggi (Edizioni del Leone). Nello scrivere l’editoriale, avevo volutamente richiamato alla mente sia la sottigliezza analitica che la trasparenza dei colori della pittura fiamminga, per avventurarmi nelle pagine di quel libro e nei suoi paesaggi, insieme fisici e mentali, che si trovano tra le regioni settentrionali del Brabante e le pianure dei polder dove i Paesi Bassi si protendono verso il mare sia pure protetti dalle dighe quasi alla deriva nel cuore dell’ignoto. Erano paesaggi colti “nel riflesso… sulla carta” o sulla pupilla di un compagno di strada, dall’autore che li fissa e vi si specchia. Come la terra entra dentro il mare, così van Toorn penetra nel paesaggio naturale come dentro una donna, con il corpo e con la mente, fisicamente e per via di immaginario, consapevole che il simbolo è sempre l’assassino della cosa, eppure fedele alla realtà “reale” delle cose. La stessa situazione si ritrova coerentemente anche in questo nuovo libro bilingue appena pubblicato dalle Edizioni Di Felice, I giorni (traduzione dal nederlandese di Patrizia Filia), dove ritornano i paesaggi olandesi della sua terra natia, accanto ad altri più dolci paesaggi francesi del Berry, terra d’elezione dove oggi lo scrittore vive. E, da vero fiammingo, van Toorn continua a costruire le sue scatole di immagini con la stessa precisione usata dagli antichi maestri. La sua analisi lenticolare si innesta su un eccezionale rigore ed equilibrio compositivo che realizzano nella sintesi una perfetta coincidenza delle possibilità espressive (di luce e colore, oltre che di musica e di senso) delle parole. Il risalto plastico delle immagini ottiene effetti di più tesa drammaticità proprio nell’equilibrio. E la ricomposizione della realtà attraverso un artificio straordinariamente naturale, sostenuta dalla potente musica sincopata dei versi, in una nuova aurorale immanenza della parola, svela la nuda verità dell’esistenza all’interno dei labirinti e delle proporzioni geometriche della vita e della morte, nello scorrere dei giorni. È, ogni volta, l’illuminazione di un attimo dentro la scena della poesia e suscita nel lettore, ogni volta, la meraviglia e lo sgomento della scoperta.

Paolo Ruffilli

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