Mirko
SERVETTI

Mirko Servetti è nato ad Alassio nel 1953 e viveva ad Imperia, dove è scomparso nel 2023. I suoi libri di poesia, dopo l’esordio con Frammenti in fuga (Lalli Editore, 1981, scritto in coppia con Teresio Zaninetti), sono: Quasi sicuramente un’ombra (Forum/Quinta Generazione, 1984); il poema Canti tolemaici (Tracce, in due volumi, 1989 e 1993); L’amor fluido (Bastogi Editrice, 1997); Quotidiane seduzioni (Edizioni del Leone, 2004); Canzoni di cortese villania (Puntoacapo Editrice, 2008, riunisce con alcune variazioni le due precedenti raccolte); Terra bruciata di mezzo-fra Vespero e Lucifero (Matisklo Edizioni, 2013, poemetto in digitale); Indefinito Canone (Matisklo Edizioni, 2016, versione digitale e cartacea).

servetti.mirko@gmail.com

POESIE

da CANTICI TOLEMAICI

dal Canto XXII
Mezzogiorno d’inverno
Quando la forza dei nuovi
Colori va affermandosi
Ovunque il mio corpo

Si stenda ritmando i
Chiarori del piacere e
Il regno della notte somiglia
Alle spalle chiomate

Mia scura compagna di
Infiammabili e sfrenate veglie
Tremante sotto l’altare
Del buffo gioco

Dei piedi a sfiorare l’
Oceano quando il respiro
Penetra i fiori bombardando
Questa sorta di cielo

da L’AMOR FLUIDO

Notte aulentissima ancora che amara
ghirlande rubate ai tuoi carrasciali
succhiammo avidi la goccia più rara
brindammo all’amore e alle odi carnali.
La mente adesso è di cellule avara
mentre assalita da febbri animali
scivola il tempo alla notte già chiara
in gara di luce e giochi mortali.

Non serbo ricordo di quel danzare
ché a lungo la morte fu mia diletta
di risa e trastulli mai vi fu fine
distrutti i poemi disfatto il cantare
morte compagna tra i sicari eletta
carne ingollata da bocche ferine

Le praterie sonore sul tuo corpo
vorrei condurre e l’andante di fuoco
ti seguirebbe col rosso ansimare
del sole in declino perché sia sordo
e piangere il canto del clavicordo
sbiadendo il tuo piacere poco a poco.
Scollato da te le frutta più amare
non mi stuccano come il tuo ricordo

perché la tua voce sempre m’inganna
dopato come sono del tuo té
il rituale che segue ad ogni inizio.
Sputerai piuttosto verbi di manna
mi aggredirai in questo breve equinozio
lo farai spinando il porco ch’è in me

da QUOTIDIANE SEDUZIONI

Le torri saracene fino a ieri
gli ossigeni splendenti in mare aperto
acquaioli e bruni contrabbandieri
sapevano decifrare i deserti.
Gli altri erano sempre gli altri l’esperto
di maree confidava che i filari
(Dio divenne poi un prezioso reperto)
sputassero un mosto da capogiri.

Il deserto è una notte che non basta
nominare e vedere da vicino
i profughi portano a spalla paesi
interi alcuni con aria entusiasta
raccolgono acqua e notte in un catino
riuscendo a sognare per mesi e mesi

Mi scapicollo per viuzze leggere
a rotta di sasso verso un altrove
in piena discesa fino alle nuove
viste che occultano il quieto terziere.
Scheletrici pilastri di un cantiere
mai avviato sfregiano il cielo fin dove
puoi toccarne il dolore. Per ben nove
lune ne ho custodito il forziere

anzi lunaire cercavo Malvine
in ogni sua minor costellazione
e nelle umide alcove e nel beffardo
balzello del sole sulle colline
nel tempo e nel suo mutar direzione
forse in tempo per squagliarne il ricordo

da TERRA BRUCIATA DI MEZZO

Mi conversi dei sentieri scoperti
e delle strade viaggiate
tra le pagine bianche d’un diario
quando di te sapevo forse l’età,
al più il viso per sentito dire
e il tuo domicilio
era dopo lo scambio
che portava a sud;
lo si capiva dal fetore
dell’aria ferrosa e dalla breccia
messa in gara con i frutici
fra i barbagli stracarichi…

…o di quando la grande calda
smagliava le case scure
ed eri presa di una contentezza
da vivere nelle vetture
di seconda classe
piene di fumo e di apologhi,
con l’acqua tersa di una rovescia
che veniva a ricordarti
quanto l’avevi in corpo,
la voglia di mare.

da INDEFINITO CANONE

Canone III
Erano lacrime in stelo di calla
all’appannarsi dei vetri in pianura.
Poche auto ferme noi zuppi di nebbia,
un segreto che il mondo riconosce
quale tuo tra le pagine di cronaca.
Camminerai sabbie a inizio novembre,
me lo chiedi dopo aver pronunciato
un bacio in ogni lingua conosciuta.
Considero all’istante il nuovo pegno
vedrai un mare bellissimo e noioso,
di un tedio prossimo a quelle morti
che paiono improvvise. Ecco i tuoi occhi
parlare a limpida velocità,
me li sento addosso come pioggia

Canone V
Perché tu possa respirare ancora
i sogni infranti nell’aria serale,
ti farai muta come la città
nel momento in cui s’addensa nebbia
sul tuo profilo di allettante menade.
Un tempo in cui sorridesti brevemente all’incontro
delle nostre ombre fu intorno a mezzogiorno;
fuori del centro certi casolari
tenuti sulle secche dei torrenti,
offrivano riparo ai sottintesi.
La notte fu poi nuda rifrazione
dell’essere. Al di là di ogni confine.

INEDITI

1
La stazione non rifinita
sulla linea speculativa
e i nostri occhi barbari,
qualche volta mistici
quasi sempre profughi
con i mezzi locomotorî
collaudati da Dio
in ogni estate che lui
non comanda.
Ho imparato a cucinare qualcosa
scordando i tuoi consigli
perché troppo distratto
dall’insinuarsi di una vecchiaia
ridanciana e casinara.
Non desidero altro che
il tuo esserti bellissima

2
È l’attuale mitologia,
vicaria di trascorsi ideologici,
edificata con i mattoni
del ritiro quasi totale
in assenza di dopamina.
Il silenzio, per contro,
sa essere puro perché
espresso dal sorriso complice
che dispensi prima di cena
quando si è stanchi di fluttuare avanti
e si rimuove la nudità
dell’adolescenza con quelle ansie
che apparivano incontrollabili
e non c’era approdo da raggiungere
ma il farsi sogno
in vista della realtà del momento.
Sarà bello, comunque, vederti consumare
un pasto in dolce sincronia
con i flagelli gridati di rione
in pianeta e col contrasto del nostro ridere
mostrando anche qualche sprazzo di tosse
e gli estetismi del cutting
permettendoci il lusso di essere
stanziali a tempo determinato.
Per tacere della tregua
sulle ferite narcisistiche

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