Attilio
BERTOLUCCI

Attilio Bertolucci è nato a San Prospero (Parma) nel 1911. Allievo di Roberto Longhi, ha insegnato a Parma italiano e storia dell’arte. Una volta trasferitosi (nel 1951) a Roma, ha svolto attività pubblicistica e di consulente per l’editore Garzanti. Ha collaborato a “Paragone”, ha diretto “Il Gatto Selvatico” e ha condiretto “Palatina” e “Nuovi Argomenti”. La sua produzione poetica iniziale comprende Sirio (1929), Fuochi in novembre (1934) e La capanna indiana (1951 e 1955); il secondo, decisivo momento della sua opera poetica è costituito dalla straordinaria raccolta  Viaggio d’inverno (1971) e dal grande romanzo in versi La camera da letto (1984 – 1988); l’ultima fase del suo cammino nella poesia  comprende le raccolte Verso le sorgenti del Cinghio (1993) e La lucertola di Casarola (1997). Ha anche pubblicato le raccolte di scritti saggistici Aritmie (1991) e Ho rubato due versi a Baudelaire (2000). Per molti anni ha trascorso le vacanze estive, insieme a sua moglie Ninetta e ai figli Bernardo e Giuseppe (entrambi celebri registi cinematografici), a Casarola (nell’Appenino parmense) e a Tellaro. È morto a Roma nel 2000. l suoi carteggi con Vittorio Sereni e con Cesare Zavattini sono apparsi  in due diversi volumi pubblicati rispettivamente nel 1994 e nel  2004. Le sue conversazioni con Paolo Lagazzi, il saggista che si è occupato più a fondo della sua opera, sono raccolte nel volume All’improvviso ricordando (1997). A cura di Paolo Lagazzi e di Gabriella Palli Baroni è apparso nel “Meridiani” Mondadori un volume di Opere (1997) comprendente poesie, traduzioni e saggi. Una sua importante raccolta di poesie e prose  (Il fuoco e la cenere. Versi e prose dal tempo perduto) è apparsa, postuma, nel 2014. Postumi sono apparsi anche i volumi di prose Cartoline illustrate (2006), Riflessi da un paradiso (2009), La consolazione della pittura (2011) e Lezioni d’arte (2011).

http://it.wikipedia.org/wiki/Attilio_Bertolucci

http://www.treccani.it/enciclopedia/attilio-bertolucci/

POESIE

da TUTTE LE POESIE

Verso le sorgenti del Cinghio
Volevamo risalire alle sorgenti del Cinghio
il giorno era d’aprile ventoso e celeste
ci portava via sbiancava i salici bassi
già dietro di noi perduti come la casa
in cui s’erano dimenticati di noi fuggitivi
esploratori muniti di cibo e coltellini multipli
per una lunga assenza forse per un distacco…
Non io che partecipavo all’impresa come cronista
senza la bella volontà liberatoria
degli altri senza la loro strenua fiducia
mentre attraversavamo proprietà sconosciute
seguendo l’ incantagione sinuosa, del Cinghio
avvicinandosi all’occhio lo scenario azzurro
delle colline rumoreggiando più e più
il rio amato… Ma il tempo
era passato per me che sentivo
acuta la perdita della casa e di chi
a quest’ ora forse s’era ricordato di noi
soffrendo come io soffrivo del distacco
così che con l’astuzia persuasiva del poeta
li convinsi anime pure e schiette
volte al giusto di una fantastica impresa
a desistere a volgersi come una compagnia
di soldati sconfitti verso il quotidiano il solito
il monotono – quanto io desideravo di più al mondo
e che già si svelava intiepidito di luce.

Convalescente
Ancora vita il tuo dolce rumore
dopo giorni bui e muti riprende.

Porta il vento di maggio l’odore
del fieno, il cielo immobile splende.
Gli occhi stanchi colpisce di lontano
il rosso papavero in mezzo al tenero grano.

Sei stata mia compagna di scuola
Sei stata mia compagna di scuola
ma hai un anno meno di me
abbiamo un bambino che va a scuola mi
sono innamorato di te…

Fingerò d’essere una tua scolara
che s’è innamorata di te
mi sono fatta una frangetta
per cenare fuori con te…

Cerchiamo una locanda piccina
nella città ma non c’è
inventiamola affacciata sul fiume
che allevò me e te…

Di acqua nel fiume che è nostro
ce n’è e non ce n’è…
Inventerò un nuovo mese
ricco d’acqua per te…

Che si rifletta in me
nei miei occhi
china dalla veranda inverdita
sull’acqua che somiglia la vita

rubandomi e restituendomi a te.

Torrente
Spumeggiante, fredda
fiorita acqua dei torrenti,
un incanto mi dai
che piu bello non conobbi mai;
il tuo rumore mi fa sordo,
nascono echi. nel mio cuore.
Dove sono? Fra grandi massi
arrugginiti, alberi, selve
percorse da ombrosi sentieri?
Il sole mi fa un po’ sudare,
mi dora. Oh, questo rumore tranquillo,
questa solitudine.
E quel mulino che si vede e non si vede
fra i castagni, abbandonato.
Mi sento stanco, felice
come una nuvola o un albero bagnato.

Sereno d’autunno
Non ricordavo un ottobre
così a lungo sereno,
la terra arata
pronta per la semina,
spartita da viti rossastre
molli come ghirlande.

Fine d’estate
Come  agosto finisce, la mattina
dopo una notte di pioggia si sente
(il cielo è più profondo ) che l’autunno
sta per venire; ci si guarda intorno
e non si sa che fare: tutto
è fresco, rinnovato da uno smalto
malinconico di perplessità!
Allora si gironzola, si sta zitti,
sappiamo che c’è tempo, ma che pure
l’anno dovrà morire, ed il bel cielo,
il verde verniciato delle piante,
il rosso delle ruote ad asciugare,
l’incudine che suona di lontano,
lento cuore  del giorno, tutto parla
d’una partenza prossima, un addio.
La memoria è una strada che si perde
e si ritrova dopo un’ansia breve,
tranquilla: già nel sole di settembre
scottante sulla schiena è un’altra estate,
che le vespe ronzando sulle ceste
dell’uva bianca indorano, e si mischia
al loro volo il rumore nascosto
e perenne del grano che ventila
un vecchio attento e polveroso.

Nessuno
Io sono solo
il fiume è grande e canta
Chi c’è di là?
Pesto gramigne bruciacchiate.
Tutte le ore sono uguali
per chi cammina
senza perché
presso l’acqua che canta.
Non una barca
solca i flutti grigi
che come giganti placati
passano davanti ai miei occhi
cantando.
Nessuno.

Gli anni
Le mattine dei nostri anni perduti,
i tavolini nell’ombra soleggiata dell’autunno,
i compagni che andavano e tornavano, i compagni
che non tornarono più, ho pensato ad essi lietamente.

Perchè questo giorno di settembre splende
così incantevole nelle vetrine in ore
simili a quelle d’allora, quelle d’allora
scorrono ormai in un pacifico tempo,
la folla è uguale sui marciapiedi dorati,
solo il grigio e il lilla
si mutano in verde e rosso per la moda,
il passo è quello lento e gaio della provincia.

La rosa bianca
Coglierò per te
l’ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l’hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
E’ un ritratto di te a trent’anni,
un pò smemorata, come tu sarai allora.

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