Raffaello
BALDINI

Raffaello Baldini è nato a Santarcangelo di Romagna nel 1924. Nell’immediato dopoguerra con alcuni giovani poeti (Guerra, Perdetti, Fucci) si riuniva al “Caffè Trieste”, il bar dei genitori ribattezzato goliardicamente «E’ circal de giudêizi» (Il circolo della saggezza). Si era laureato in Filosofia a Bologna, dedicandosi all’insegnamento per alcuni anni. Nel 1955 si trasferì a Milano e nel 1962 cominciò a lavorare come giornalista a “Panorama”. Debuttò ufficialmente come poeta nel 1976 con la raccolta É solitèri (“Il solitario”, Galeati), a cui seguirono negli anni: La nàiva (“La neve”, introduzione di D. Isella, Einaudi, 1982), Furistír (“Forestieri”, introduzione di F. Brevini, Einaudi, 1988, Premio Viareggio), Ad nòta (“Di notte”, presentazione di P. V. Mengaldo, Mondadori, 1995, Premio Bagutta), Ciacri (Einaudi, 2000), Intercity (Einaudi, 2003). Ha scritto anche per il teatro i monologhi: Zitti tutti!, Torino, Einaudi, 1993), Carta canta, Torino, Einaudi, 1998), In fondo a destra, Torino, Einaudi, 2003), La fondazione,Torino, Einaudi, 2004). Si è spento a Milano nel 2005.

http://it.wikipedia.org/wiki/Raffaello_Baldini

POESIE

E’ nòn
Te cafè? da fè chè? a stagh mèi ma chèsa,
a zugh sa cal burdèli,
i zugh ch´ò imparè mai! E u m pis da pérd.

Il nonno
Al caffè? da far che? sto meglio a casa,
gioco con quelle bambine,
i giochi che ho imparato mai! E mi piace perdere.

*
Basta!
E pu basta, a m so stòff,
l´è tòtt i dè cumpàgn, u n s nu n pò piò.
A m vì fè crèss i bafi!
Mo acsè…
Mo acsè, dal vòlti, quant a tòurn a chèsa,
la saìra, préima d´infilé la cèva,
a sòun, drin, drin,
u n´arspònd mai niseun.

Basta!
E poi basta, mi sono stufato,
è tutti i giorni uguale, non se ne può più.
Mi voglio far crescere i baffi!
Ma così….
Ma così, delle volte, quando torno a casa,
La sera, prima d´infilare la chiave,
suono, drin, drin
non risponde mai nessuno.

*

Em bycicleta
strisòun, Traguardo, zà,
admèng i córr, ch´ ´l´ènch´ ´na bèla chéursa,
sò ma Mountbèl, zò tla Marèccia,
e´ Pózz, zò tl´Éus, i Zéss, sò ma la Curnacèra,
Savgnèn, da ´lè tótt drétt, pu la vuléda
sòtta e´ Cuméun, e mè ma la finestra,
a guèrd da què,
ch´u s vaid piò bén, a guèrd sémpra da què,
però dal vólti, ècco, u m pisarébb ènca d´ès alazò, tramèz´ cla baraònda,
sal machini ch´al sòuna, al guèrdi al córr,
i aréiva, indrí! sté indrí!
cmand, fés-ci, fé al spatàsi, a i sémm, i è què,
nómar, culéur, bandiri, slunghè e´ còl,
viva, viva, spumènt, rógg, bat al mèni,
tnàila da qualcadéun,
scumètt che st´èlta vólta e´ vinzarà.

In bicicletta
E là in fondo, Traguardo, e già,
domenica corrono, che è anche una bella corsa,
su a Montebello, giù nella Marecchia,
Poggio Berni, giù nell´Uso, i Gessi, su alla Cornacchiara,
Savignano, di lì tutto dritto, poi la volata,
sotto il Comune, e io alla finestra,
guardo di qui,
che si vede benissimo, guardo sempre di qui,
ma delle volte, ecco, mi piacerebbe anche essere laggiù, in mezzo a quella baraonda,
con le macchine che suonano, i vigili che corrono,
arrivano, indietro! state indietro!
comandi, fischi, fare a spintoni, ci siamo, sono qui,
numeri, colori, bandiere, allungare il collo,
viva, viva, spumante, urli, battere le mani,
fare il tifo per qualcuno,
scommettere che la prossima volta vincerà.

*

A n´e´ so
Invìci mè l´è un pó ch´a pràigh, ad nòta,
quant a m svégg, ch´a so lè, ch´a n´arcàp sònn,
l´è la vciaia? a n´e´ so, l´è la paéura?
a pràigh, e u m pèr ´d sintéi, a n´e´ so,
cmè ch´a n fóss da par mè, a n´e´ so, cmè che,
l´è robi ch´l´è fadéiga, a déggh acsè,
mo a n´e´ so gnénch´ s´a i cràid o s´a n´i cràid.

Non lo so
Invece io è un po´ che prego, di notte
quando mi sveglio, che sono lì, che non riprendo sonno,
è la vecchiaia? non lo so, è la paura?
prego, e mi pare di sentire dentro, non lo so,
come se non fossi solo, non so, come se,
sono cose che è difficile, dico così,
ma non so nemmeno se ci credo o non ci credo.

*

Si dice bene i coglioni
Si dice bene i coglioni, ma loro,
io ne conosco più d’uno,
si credono d’essere,
non lo sanno che sono dei coglioni, e si sposano,
hanno figli, e i figli sono figli di coglioni,
che io non dico mica,
il babbo è il babbo,
tu non abbia da voler bene al tuo babbo,
portargli rispetto,
però questi figli, non lo so, io, non se n’accorgono?
quando parlano con il loro babbo,
non lo vedono, non lo sentono?
o sono coglioni anche loro?
che lì allora è fatica, fra coglioni –
ecco, sì, no, c’è delle volte che gli scappa detto:
il mio babbo è un coglione
ma in un altro senso, nel senso che è buono,
che è un galantuomo…
Che questo però è un discorso,
come sarebbe allora?
i galantuomini sono dei poveri coglioni?
Intendiamoci, può essere che un coglione
sia un galantuomo, può essere che sia buono,
ma può essere anche cattivo,
ci sono i buoni e i cattivi anche tra i coglioni,
coglione vuol mica dire,
uno è un coglione, ma può andare vestito bene,
portare gli occhiali,
può essere, guarda io quello che ti dico,
può essere anche intelligente, e nello stesso tempo
coglione, che è un caso eccezionale, ma succede,
essere coglione è una cosa,
può essere tutto un coglione, può essere
anche istruito, può essere perfino laureato…
certo che se è ignorante, i coglioni ignoranti,
quelli sono una disgrazia, non si ragiona,
è come parlare al muro, e prepotenti –
che uno, io capisco,
quando dico che un coglione può essere tutto,
uno può rimanere disorientato,
gli viene da dire: allora, se uno è un coglione,
in cosa si distingue?
insomma, cosa vuol dire essere un coglione?
cos’è la coglionaggine?
Eh, questa è una domanda, è fatica,
come si può dire? fammi pensare, non c’è un esempio?
Ecco, i coglioni fanno le cose alla rovescia,
e tu li vedi che sbagliano, tu lo sai
come andrebbero fatte,
provi a dirglielo, anche con le buone maniere,
ma loro niente, tirano dritto,
tu cerchi di dargli una mano,
di metterli sulla buona strada, loro ti guardano
con un’aria e t’arrabbi:
“Sono dei coglioni!” ti sfoghi in piazza,
e in piazza c’è anche qualcuno che ti ascolta:
“Hai ragione, sono coglioni, però…”
“Però?…”
“Cosa si può fare? Sono tanti, comandano loro”.

*

Come, muori tutti i giorni
Come, muori tutti i giorni, va’ a cagare,
va’ là, morirai tu tutti i giorni, io,
che sono più vecchio di te, ma non ci penso mai,
non ci pensa nessuno, dài, su, se fosse
come dici tu, ci sarebbe da diventare matti,
poi io, tu di’ quello che vuoi, mi sento giovane dentro,
son giovane di spirito, io, il mondo, ma anche tu, guarda il mondo, altro che morire,
svegliarsi tutte le mattine, che pare niente,
ma pensaci, non è una festa?
tutte le mattine avanti fino a sera,
e vuoi morire, tu? lascia che muoiano gli altri,
che poi muoiono sempre gli altri, ci hai fatto caso?
e Molari, poveretto, è morto davvero,
lui sabato ha tirato giù la serranda,
con tutti i suoi soldi, che se li è goduti
porca puttana, se n’è cavate di voglie,
e beh, i soldi, ragazzi, però adesso lui
è morto e io sono qui al Caffè Roma
che mi bevo un bel vinello al selz.

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