SBARBARO

SBARBARO

Dovendo idealmente allestire un’essenziale antologia della poesia italiana del Novecento, anche un’essenzialissima antologia ridotta a davvero numeratissime voci, io credo che il nome di Camillo Sbarbaro non potrebbe non rientrare nel progetto. Una voce poetica singolarmente alta che ha affidato a pochissime opere ed essenzialmente a un libro scritto e riscritto per tutta la vita come Pianissimo, apparso per la prima volta per le Edizioni della “Voce” nel 1914, la sua foscoliana possibilità di permanenza nel mondo e prima ancora la sua possibilità di definirsi ed esprimersi. Definirsi ed esprimersi a favore di tutti, “confessarsi” con le parole che non avremmo mai saputo dire, com’è appunto della vera poesia, e come si verifica esemplarmente in atto nelle due straordinarie poesie per il padre che torniamo ad offrire oggi all’attenzione dei lettori. Un poeta ligure appartato, renitente ai protagonismi e mai in primo piano sulla scena letteraria (una celebre definizione firmata Eugenio Montale lo vuole un “estroso fanciullo”), ma senza il quale il Novecento mancherebbe di qualcosa: di qualcosa di autenticamente attendibile come voce rappresentativa di un tempo della nostra Storia. Ricordando che il prossimo 31 ottobre ricorre l’anniversario della morte di Camillo Sbarbaro (Savona, 31 ottobre 1967).

Marco Marchi

Quotidiano.net

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